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I ghisa milanesi in difesa di Expo. Il divieto dei luoghi comuni
Il
Fatto Quotidiano, 21.9.14
I nomi,
quelli, non ve li posso fare. Eppure ho il dovere di parlarvene. Vedete quello
che sta capitando a Milano con l’Expo? Non tanto con la corruzione e
l’immortalità di Tangentopoli. Ma con la scoperta di imprese in odor di
‘ndrangheta, o comunque al di sotto dei sospetti. A bizzeffe. Tanto da avere
indotto la prefettura di Milano a firmare decine di interdittive. Collegamenti,
intestazioni, consigli di amministrazione, sommati a provenienze e fedine
penali. Insomma, quel mondo che si è dato appuntamento intorno all’Expo
pensando di farne un boccone. Avrete dunque notato quanti interventi di
contrasto, quasi a dimostrare che proprio mafia free l’evento non potrà essere
ma anche che le cose non stanno andando esattamente secondo il film che le
cosche si erano fatte.
Ecco,
se questo sta accadendo è anche perché presso la Polizia Locale (i vigili
urbani, i “ghisa” di una volta, insomma) di Milano opera una pattuglia detta
“nucleo ambientale”. Composta da poche persone, leali, oneste, estremamente
preparate e che continuano ad aggiornarsi, a cercare di orientarsi nel mare
magno delle leggi e delle circolari, visto che, come spiegano loro, “non esiste
nemmeno un codice ambientale, è come se in Italia non si volessero avere le
armi per difendere l’ambiente”.
Un
giorno di due anni fa si capì che i controlli annunciati in pompa magna sulle
aree delle opere non li faceva quasi nessuno, che il famoso gruppo interforze
coordinato dalla prefettura aveva fatto un solo controllo da agosto a dicembre,
un numero ridicolo nei mesi dei primi sbancamenti. E allora al sindaco Pisapia
venne in mente un’idea: impiegare la Polizia Locale, dove operava questo nucleo
ambientale, che già collaborava in alcune inchieste con i magistrati della
Direzione distrettuale antimafia. Il mandato fu di controllare giorno e notte,
anche nei giorni di festa. Lo studio del modus operandi delle cosche, delineato
plasticamente da dieci anni di inchieste giudiziarie, spiegava infatti che dei
protocolli antimafia le loro imprese si facevano praticamente un baffo, e che
bisognava andare sul posto, sulla nuda terra, a vedere, a controllare con
intelligenza e pazienza certosina. E senza risparmio.
I
vigili del nucleo non risposero che questi compiti spettano alle forze
dell’ordine, non dissero “non abbiamo i mezzi”. Si misero al lavoro.
Sopralluoghi di giorno e di notte, compresi i giorni di festa. Trovando resistenze
proprio presso chi avrebbe dovuto aiutarli. Vennero invitati a non entrare nei
cantieri, “ci dicevano che non ne avevamo titolo”, venne rifiutato loro
l’accesso al database di Expo. Gelosie, fastidi. Per il database dovette
intervenire il sindaco sul ministro dell’Interno. Trovarono avvocati delle
imprese controllate pronti a far balenare danni civili da brivido per ogni
interruzione. “Avevamo a disposizione solo due canali che ci legittimavano a
intervenire: l’ambiente e la sicurezza sul lavoro. E li abbiamo usati tutti e
due, costretti spesso a limitarci a controllare i camion fuori dai cantieri”. E
ne hanno controllati a migliaia di camion, con qualche risultato che qui non si
può dire.
A
questo punto varrà la pena di ricordare due cose. La prima è che, quando si
parla di movimento terra e di smaltimento dei rifiuti, si dice ambiente. Fu
forse per caso, ma è certo che la giunta Formigoni nominò (subito dopo
l’operazione Crimine-Infinito!) direttore dell’Asl 1, ossia quella competente
sui lavori Expo, un signore, Pietrogino Pezzano, che i carabinieri avevano
filmato in compagnia di boss ‘ndranghetisti. Solo la rivolta capeggiata dal
sindaco di Vanzago, Roberto Nava, e un’inchiesta dell’Arma riuscirono a
produrne le dimissioni. La seconda è, come ricordano gli uomini della
pattuglia, che “in Italia non ci sono i delitti ambientali; l’unico reato che
abbia un rango superiore alla contravvenzione è l’attività organizzata per il
traffico illecito di rifiuti. Non abbiamo dietro nemmeno la forza delle leggi”.
Disarmati,
dunque, e pure un po’ “intrusi”. E potenzialmente non molto utili. L’area Expo
ricade infatti in gran parte nei comuni di Rho, Pero e Baranzate e la loro
competenza si fermava ai confini di Milano. Di nuovo il sindaco pensò di fare
un protocollo con quei comuni perché le rispettive polizie locali potessero
indagare su tutta l’area. Un accordo reciproco. Anche se c’era un non detto:
tutto il lavoro in più sarebbe ricaduto “naturalmente” sul nucleo ambientale
milanese, il più attrezzato professionalmente. Di nuovo i suoi membri non
dissero “non è nostro compito lavorare fuori Milano”, ma si misero di buzzo
buono a fare indagini sul nuovo fronte allargato. Sopralluoghi meticolosi,
rapporti di inchiesta minuziosi, la scoperta di imprese sospette che, senza
dichiararlo, affittavano rami delle aziende vincitrici degli appalti e piazzavano
i propri uomini nei cantieri sotto mentite spoglie. Un lavoro fatto con
l’orgoglio di chi sa di servire in fondo una causa nazionale, e che sta dando
risultati in ogni direzione.
Se
qualcuno ha in mente la faccia del ghisa un po’ imbranato di Totò e Peppino a
Milano; se qualcuno si è indignato (giustamente) per i vigili che se la
intendevano con le discoteche della movida e con qualche commerciante
disonesto; pensi anche a questa pattuglia di senza nome che forse Milano non
ringrazierà mai e che per questo ho voluto raccontarvi.
Nando
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