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Michele, il carabiniere che stupì il Generale
Il Fatto Quotidiano, 28.9.14
Bizzarra la vita. Vai ai “Dialoghi di Trani” nel
castello brulicante di lettori per incontrare scrittori e intellettuali, e ti
imbatti in un sottufficiale dei carabinieri che ti racconta pezzi di vita incrociandoli
con la tua. Vedendolo distinto e riservato, lo penseresti uomo d’ufficio,
macinatore di rapporti. E invece è stato uomo d’azione, di quelli da film, per
dovere prima che per piacere. Il piacere, infatti, lo avrebbe trattenuto nel
suo primo luogo di servizio. Anni settanta, aeroporto di Malpensa, servizi
antisabotaggio. “Ci stavo benissimo, il lavoro era interessante ed ero sempre a
contatto con le hostess. Capirà, avevo vent’anni, che cosa potevo chiedere di
meglio?”. Il guaio è che il vicebrigadiere Michele Gallo fu notato da un
maresciallo che lo segnalò ai reparti dell’antiterrorismo. Lo
tranquillizzarono: solo sessanta giorni per coprire l’emergenza del dopo-Moro. Arrivò
alla sezione speciale anticrimine a Milano, e si mise in luce anche lì. “E che
ci potevo fare? Ovunque vada io voglio fare bella figura, tendo sempre a dare
il massimo”. Così, scaduti i sessanta giorni, si presentò dai colleghi
trionfante, “Ragazzi vi saluto, si torna dalle hostess”. Restò lì, invece. Chiamato
a far parte stabilmente della struttura.
Ma che cosa aveva di così straordinario questo carabiniere da film d’azione?
Semplice. Anzitutto l’arte del pedinamento. “Quando mi chiedevano dove avessi
imparato, dicevo che mi veniva naturale, era un’eredità dell’infanzia nel mio
paese, Ascoli Satriano, in provincia di Foggia. Giocavamo sempre a nascondino
tra case e vicoli, guardando gli altri da angoli e fessure e cercando di non
farsi vedere”.
Poi una memoria visiva formidabile. “Riconoscevo i terroristi
dalle foto, anche se scattate molto tempo prima. Li riconoscevo per strada o
sull’autobus. Sergio Segio lo catturammo perché riconobbi in via Padova a Milano
una brigatista con cui eravamo certi che lui avrebbe cercato un contatto. La
seguii da solo chiamando i rinforzi e poi spuntò Segio, e riconobbi anche lui”.
Gareggiava in questo anche con il “suo” generale, Carlo Alberto dalla Chiesa,
di cui custodisce ogni ricordo e di cui racconta aneddoti a raffica, precisi,
niente fanfaronate. “Eravamo a Torino, io ero intimidito dalla sua presenza, me
ne stavo dietro una colonna mentre lui e il colonnello Sechi sfogliavano un
album fotografico. A un certo punto il generale ebbe un sobbalzo: ma questo
sembra Peci. Io feci timidamente: no, è Colombo Luca. Allora il maresciallo
disse: generale c’è qui il brigadiere che dice che è un altro. Mi sentii
morire, gli feci cenno di tacere, come facevo, io semplice garzone, a contraddire
il generale? Invece lui mi chiese che cosa sapessi: Colombo Luca, signor
generale, un’organizzazione minore della provincia di Varese. Lui mi guardò e
fece un cenno di interesse. Credo che da quel momento mi considerò dei suoi”.
Pedinare col “Ciao”, prendere di sorpresa. “Come quando a Torino entrammo nel
covo di corso Lecce. Sapevamo che in quei giorni era sguarnito. Entrammo dalla
finestra del pianterreno con un seghetto, protetti da un autotreno fatto
posteggiare lì davanti. I brigatisti arrivavano, chi da Firenze chi da Roma, e
noi dentro in silenzio per prenderli appena entravano. Uno per uno”.
Michele Gallo ha un piccolo record: tre nomi di battaglia solo negli anni di
piombo. “Cespuglio” il primo, per la montagna di capelli ricci, quelli con cui
incantava le hostess. Spunta la foto: “Sì, sembro Troisi, un giorno me lo
chiese anche un brigatista: ma sei di Napoli? No, sono pugliese. Perché
assomigli a Troisi”. “Poi mi chiamarono ‘Dannato’ perché un terrorista venne
sentito mentre mi nominava così per la velocità con cui li catturavo. Ma dopo un
importante pedinamento notturno finito bene il generale proibì di usarlo. D’ora
in poi si chiama ‘Dan’, disse. E il capitano Ruffino ce lo comunicò il giorno
dopo”. Restò ‘Dan’, tra tanti altri nomi di battaglia che Gallo rievoca con gli
occhi gonfi di nostalgia: ‘il maestro’, ‘Ago’, ‘Titti’, Caimano’, Cavallo
Pazzo’, ‘Trucido’, ‘Farinello’, ‘Valcareggi’, ‘Kawasaki’, e poi i nomi:
Oberdan, Giordano, Cossu…Nomi che non dicono nulla all’Italia che pure tremò,
ma che a lui parlano di storie che solo loro conoscono davvero.
Poi le catture dei neofascisti. Quelli dei Nar: Cavallini Gilberto, Soderini Stefano… cognome e nome, come nei mandati di cattura. Quindi vicecomandante della sezione anticrimine di Chieti, contro i sequestri di persona in Calabria (“ci volevano tutti scapoli ed encomiati”), e a Bari, “in una delle migliori unità della Dia, operazione Cartagine, operazione Dolmen, per capirsi”, dal ’92 al 2012, l’anno della pensione.
Ora, sposato con la signora Anna Maria nel ’94, e laureatosi in legge (tesi sul terrorismo internazionale), si gode i successi della figlia diciassettenne, Federica, quest’anno a Portland, negli Stati Uniti. Segue foto di ragazza bellissima ma soprattutto autrice “del miglior compito sulla criminalità organizzata della classe”. Si alza ogni notte alle tre per chattare con lei. La vecchia abitudine di dormire poco. Ora il luogotenente Michele Gallo ha un sogno: fondare a Trani un presidio di Libera, “ce n’è bisogno”. Ancora in azione. E chissà che non si guadagni un altro soprannome.
Nando
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