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Adele, la seconda mamma dei ragazzi di Milano
Il Fatto Quotidiano, 19.10.14
“Ho avuto una vita
felice”. D’improvviso, al telefono, la semplicità di una donna anziana si fa
rivelazione luminosa. Perché la donna di cui stiamo parlando si chiama Adele
Rossi. E a 86 anni non ha una storia come le altre. E’ una signora minuta, con
un forziere pesante di memorie che apre per pochi, parlandone quasi di
striscio. Non arrivò di striscio la pallottola che le portò via il figlio Luca
nel febbraio dell’86, quasi trent’anni fa. Una sceneggiatura pazzesca. Luca che
dopo le nove di sera esce di casa con un amico. Che cerca di prendere di corsa
il filobus, il 91, quello della circonvallazione esterna milanese, all’incrocio
tra piazza Lugano e via Bodio. E una pallottola che arriva dall’altra parte e
gli trapassa fegato e milza. Ha sparato un poliziotto in borghese. Dice per
fermare due teppisti in fuga su un’auto. Una versione contraddittoria. Certo è
che una pallottola ha colpito un palo ed è rimbalzata su un cordolo per strada
e di lì ancora sul ragazzo in corsa.
Obiettore di
coscienza, studente di filosofia alla Statale, Luca militava in Democrazia
proletaria. Migliaia di giovani manifestano sotto la neve contro la licenza di
sparare data dalla legge Reale nel ’74. Il bel viso del ragazzo diventa
un’icona dei movimenti. La stampa racconta a una città commossa i suoi
genitori: Carlo e Adele. Di lei si viene a sapere che frequenta la parrocchia e
che fa volontariato con le Acli. La cercano i compagni del figlio e lei non si
tira indietro, erano “i suoi compagni”. Assume con delicatezza, con pudore estremo,
un ruolo pubblico. Partecipa a dibattiti. Gli ideali del figlio, che poi sono
anche i suoi: la pace, la giustizia, la solidarietà. Anche se gli altri li
declinano con fraseologie diverse. Anche se la vedi più a suo agio tra don
Colmegna e le amiche acliste. A Milano Adele diventa una specie di seconda
mamma per tanti giovani, anche più adulti del figlio ucciso. Quel che è
successo, anziché chiuderla, ne ingigantisce la generosità. Chi pensa di
trovare una donna dolente scopre la forza di dare a tutti il sorriso di cui la
città si sta facendo sempre più avara. Negli incontri pubblici arriva spesso
insieme con Carlo e con l’altra figlia, Daniela. In silenzio, in un angolo, per
portare comunque il suo granello di sabbia.
“Certo, mi sono
impegnata, ci siamo impegnati. Con l’associazione ‘Luca Rossi’, che è una cosa
un po’ diversa dagli ‘Amici di Luca Rossi’, che è più politica. Tante attività
di formazione, tante iniziative con gli insegnanti. La scuola media del
quartiere, la Maffucci, l’abbiamo anzi ormai quasi adottata. Facciamo progetti
per la cittadinanza, per spiegare ai bambini come svolgere il loro ruolo di
rappresentanti di classe. E poi murales, concorsi di scrittura sui temi
dell’amicizia, lavoro teatrale, la non violenza; insomma cerchiamo di affiancare
alle lezioni in classe dei percorsi di crescita personale. Se ne
occupa Daniela soprattutto.
Io mi sono dedicata a
tanti altri progetti. Con un gruppo di amici anziani abbiamo fatto un bel
lavoro anche noi tra le scuole. Andavamo a raccontare i nostri tempi, come si
studiava, come si lavorava, com’era il Natale, le cascine. Abbiamo avuto un
grande successo raccontando le nostre filastrocche. Poi siamo rimasti in pochi,
molti col tempo si sono trasferiti nell’eternità, eravamo trentacinque, siamo
rimasti in dieci. Quanto lavoro anche con le Acli…L’accoglienza, l’apertura
agli altri, un’attività di patronato continua. Ora è cambiato, nella nostra
zona si fa assistenza fiscale a orari fissi, mentre per me era come fare il
segretariato del popolo. Stiamo lavorando tanto con le adozioni a distanza. In
Guatemala, in Nicaragua, in Serbia, in Perù, in Paraguay. Siamo una
cinquantina. Io ogni tre mesi mando a tutti una relazione sui bonifici. Ci
affidiamo direttamente a persone che conosciamo, non vogliamo entrare in certe Onlus.
Nando
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