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E i preti di strada presero la laurea
Il Fatto Quotidiano, 26.10.14
Questa è una storia a
lieto fine. E ha pure una morale, per il giornalismo e per il “Fatto”. Perciò
va goduta nelle sue pur piccole dimensioni. Tutto ha inizio con il sostegno che
questo giornale riserva a don Andrea Gallo, il prete di strada genovese che
dalla sua comunità di San Benedetto si batte per i diritti dei più deboli,
soccorre i devianti, convince la buona borghesia genovese a scucire denari per
le sue buone cause. Dopo una lunga lotta con la malattia don Andrea muore il 22
maggio del 2013. Ai suoi funerali vedo, come mai prima, i segni della
sofferenza sui volti di un popolo di diseredati, tracce di antiche o attuali
dipendenze; ascolto sotto la pioggia canti di rivolta e slogan di nostalgia.
In una chiesa gremita
il cardinale Bagnasco sbaglia alcuni toni, almeno agli occhi della folla
accorsa a salutare il suo eretico “don”. Al quale nemmeno in morte, così sembra
ai presenti, vengono riconosciuti i meriti accumulati in vita. Partono i
fischi, i funerali sembrano prendere la piega più amara, quando interviene
dall’altare don Luigi Ciotti. Alla sua sola voce la folla, in chiesa e fuori
(la maggioranza) applaude, riconoscendo d’istinto una continuità tra le storie
dei due preti. Il “Fatto” sceglie, con Antonio Padellaro, di dedicare a quella
continuità il suo editoriale del giorno dopo. Non un classico articolo di
denuncia, uno di quelli capaci di scorticare il potente di turno. Ma un
editoriale che indica a tutti un esempio positivo. Il titolo è bellissimo (almeno
per me): “L’Italia dei ‘don’”. Mi fa riflettere, ci penso: davvero c’è un filo
rosso nell’Italia repubblicana, non singoli preti sparsi, ma una storia
collettiva che ha riunito altre (e spesso grandi) storie collettive. Da don
Milani a don Ciotti, passando per padre Balducci, padre David Maria Turoldo,
monsignor Tonino Bello. E poi padre Puglisi o don Peppe Diana.
Perché non studiarla?
Perché non raccontarla? Lo propongo a un gruppo di studenti e neolaureati di
Scienze Politiche, a Milano. Dobbiamo andare all’Asinara una settimana per la
prima edizione della nostra università itinerante. Un progetto speciale di
Libera: un turismo di formazione e lavoro (fare le guide ai turisti che
visitano le ex carceri speciali dell’isola). La proposta di passare le sere
sotto le stelle con un seminario sull’Italia dei don viene accettata da tutti.
Si lavora fino a mezzanotte, poi liberi tutti.
Di nuovo il “Fatto” dedica più di mezza pagina a quella esperienza. Gli
studenti, che si sono impegnati senza risparmio, si confermano nell’idea di
avere fatto qualcosa di socialmente utile. Un riflettore addosso quando non hai
ucciso o stuprato o corrotto nessuno è una rarità, un’iniezione di entusiasmo.
Anche per questo si impegnano in autunno a organizzare e tenere loro un
seminario su quel tema. Aperto alla città, battezzato da monsignor Bettazzi, il
vescovo di Ivrea della celebre lettera di Enrico Berlinguer. Recuperano filmati,
poesie, omelie. Arrivano molti cittadini ormai maturi a rivivere una storia che
sembrava seppellita, e raccontata da chi ha un terzo dei loro anni.. Il
seminario fa parlare, l’immagine dell’“Italia civile dei don” cammina.
Giunge
al nuovo rettore dell’Università Statale Gianluca Vago, che la rielabora e alla
fine propone che l’università dia una sorta di laurea collettiva ad honorem ai
preti di strada: don Ciotti e due preti storici della città, don Virginio
Colmegna, fondatore e presidente della Casa della Carità, impegnato
nell’accoglienza degli immigrati, e don Gino Rigoldi, cappellano del carcere
minorile del Beccaria, anni e anni in prima fila contro la droga. La proposta
del rettore viene fatta propria dal Dipartimento di Scienze sociali e
politiche, che propone di conferire ai ‘don’ la sua laurea magistrale in
comunicazione pubblica e di impresa. Hanno o no comunicato in modo pubblico e
con finalità pubbliche i tre preti? e non hanno promosso cooperative e imprese,
uno perfino sui beni confiscati alle mafie? Dopo il voto favorevole del
dipartimento arriva il voto favorevole del Senato accademico, proprio martedì
scorso.
Così il 4 dicembre mattina, durante l’inaugurazione dell’anno accademico in aula magna, l’università di Milano celebrerà l’Italia civile dei don. Una metafora potente. Premiati per il loro stare sulla strada nella Milano che per decenni si è inebriata di potere e passerelle. Laureati in comunicazione pubblica e di impresa per dire che la comunicazione è nobile attività sociale, che può essere svolta eccellentemente anche da chi non alterna compulsivamente italiano e inglese. E soprattutto che il grande comunicatore non è l’imbonitore ma colui che usa il dono della parola per costruire quel che ancora non c’è. Per creare, non per simulare .
Ed ecco la morale. Esistono nella vita filiere virtuose. Che ci vuole poco a mettere in movimento. Un giornale attento, un titolo felice, un’idea, un’università itinerante, un progetto di Libera, un gruppo di studenti, un rettore, un dipartimento e un senato accademico, e il paese che sembra allo sbando scopre di avere esempi da premiare, scopre il bene che si fa ogni giorno tra talk show sanguinolenti e scandali indecenti, scopre perfino il senso di una disciplina accademica. Potenza di un titolo.
Nando
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