Di Augusto e della sua amicizia

 

E alla fine lo scrivo. Per ormai quasi due settimane me lo
sono tenuto in testa (e nel cuore) senza metterlo su questo Blog. Troppi gli amici
che da qui ho dovuto salutare nel 2014. Un altro, e a cui ero così legato, non
ce lo volevo mettere. Ma Augusto, da me detto  
Kusten (così sta scritto sulla mia agendina),
non c’è più e si sente. Parlo, molti lo sapranno già, di Augusto Bianchi, il
celebre avvocato milanese, scrittore, autore teatrale, mecenate, titolare del
delizioso salotto di sinistra di corso Venezia, dove ogni giovedì sera decine e
decine di persone, a volte anche centocinquanta-duecento, venivano ospitate a
cena, distribuite in più stanze, per poi avere la sorpresa finale,
rigorosamente segreta: un intellettuale, uno scrittore, un politico, un
artista, un magistrato, o esponente di associazioni, o medico o testimone dei
tempi, che veniva invitato a raccontare, a spiegare, a chiedere sostegno alle
sue battaglie. Su un piccolo podio, come in un teatro. Vietate, in genere, le
presentazioni di libri. L’ospitalità generosa senza fine aveva infatti le sue
regole. La cui infrazione poteva scatenare collere bibliche. Non si usa il
telefonino (era rimasto l’unico ambiente in grado di imporre questa regole di
civiltà), non ci si sostituisce al padrone di casa nell’aprire porte e portoni
quando suona il citofono, si tace durante gli incontri con l’ospite, non si
portano a rimorchio persone razziste o che abbiano precedenti penali o di
dubbia moralità, ecc. Se ne è andato, Kusten, lontano dai molti amici ai quali
aveva nascosto il suo male, rapidissimo. Con l’orgoglio, tante volte ripetuto,
che in vent’anni in casa sua non aveva mai messo piede nessun transfuga e
nessun inquisito.

Dal suo salotto è passata, a raccontarsi, la migliore umanità. Premi Nobel e senatori
a vita, grandi filosofi e artisti anche stranieri, e pittori e musicisti poveri
in canna di cui lui scopriva il talento. Ultimamente, e di questo gli sarò
sempre grato, aveva chiesto di portare anche i miei studenti, a qualcuno dei
quali aveva anche riservato la parte “nobile” della serata. Gli piacevano, ci
scommetteva, li voleva aiutare.
Dolce Kusten, che in nome di suo padre, morto in Grecia durante la guerra
quando lui aveva un anno, aveva scoperto gli alpini e l’amor di patria. La sua
è storia ricca, piena di invenzioni e di generosità verso ogni causa giusta, perché
tutte le cause giuste lo smuovevano. Con la sua Rosanna, in arte Willy Bianchi,
ho battuto decine di palcoscenici. Lei in veste di Anna La Rosa, mi
intervistava nelle vesti di Berlusconi, e io la maltrattavo, e lui rideva di
gusto. Manca a tanti, e manca a me, accidenti, anche se a quei giovedì, alla
fine, riuscivo ad andarci due volte all’anno perché ci sono i dibattiti, i
viaggi ecc., le mie spugne inesorabili. Era poi lui che compariva in ogni mia occasione
pubblica importante. A incoraggiare, a farsi vedere. Pronto a coinvolgersi, a
trovare una ragione di interesse ma anche di allegria, a partire dal Mantova
Musica Festival. Be’, la smetto qui, perché di Kusten parlerei a lungo, proprio
quanto potevano durare le notti del giovedì se arrivavano gli attori di uno
spettacolo teatrale per il turno di cena dopo la mezzanotte. Addio e grazie,
amico carissimo.

 

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