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Riccardo Orioles, talpa e partigiano: ti ricordi la stazione Tiburtina?
Il Fatto Quotidiano, 9.11.14
E se non ne parlo io chi dovrebbe farlo? Chi può
sentire oggi l’impulso di raccontare la quotidiana utopia di un padre nobile e
delle sue creature, alcune già in calvizie e molte ancora implumi? Il
giornalista un po’ Risorgimento un po’ Resistenza è asserragliato davanti al
suo computer, nell’immane sforzo di difendere la patria siciliana e quella
italiana dall’arroganza delle mafie. “E’ un po’ come presidiare un forte nel
deserto, forse era meglio quando ci sparavano addosso. Sembra di essere nel
’36, quando tra Parigi e Roma c’erano quarant’anni di distanza e il fascismo
non aveva bisogno di uccidere”. Da tempo lo seguo con ammirazione e con
sgomento. La prima per l’energia irriducibile con cui da decenni conduce la sua
lotta per un paese libero e civile. Il secondo per la stolida perfidia di un
sistema che finge di non vederlo o davvero non lo vede.
E invece Riccardo Orioles c’è. E ogni mese produce quel vero prodigio
telematico che è “I Siciliani giovani”. “I Siciliani”: proprio come la storica
testata di Pippo Fava, il giornalista ucciso a Catania il 5 gennaio del 1984 da
una mafia di cui tutti in città negavano l’esistenza. Riccardo allora faceva
parte dei “carusi di Fava”, la covata di giovani giornalisti che il Direttore
per antonomasie aveva tirato su in un bellissimo impasto di etica e
guasconeria. A quella sera di gennaio Riccardo, che ormai di anni ne ha sessantaquattro,
ha inchiodato la sua anima. Da allora ha fatto tante altre cose, sfidando poteri
forti e solitudini. Da due mesi ha saputo di dovere più di centomila euro a una
ditta di Trieste per una causa civile di ventinove anni fa. “Fossero mille euro
mi preoccuperei, così mi vien quasi da ridere, nullatenente come sono. E con
gli acciacchi che ho, mi sembra di essere in una commedia dell’arte, tra avvocati
e notari, medici e speziali”.
Un carattere sprucido e dolcissimo. Alla fine è tornato a quella testata
gloriosa, sia pure rinominandola in chiave giovanile, sempre convinto che ogni
volta valga la pena ricominciare da tre. Che anche dopo le legnate c’è un
futuro più roseo. Che anche dopo i tradimenti di partito o movimento c’è un
ragazzo su cui vale la pena di investire e che incarna l’Italia che prima o poi
verrà. Indimenticabili le discussioni sul futuro gonfio di speranze, perché
“c’è Fabiolino”, o “c’è Luciano”, giusto per citare due nomi (“ma ormai sono
scrittori”) che l’esperto talent-scout ha scovato nell’esercito giovanile
dell’antimafia.
Riccardo non riserva troppe attenzioni alla politica raccontata da giornali e
tivù, e fa bene. Sa cogliere benissimo i dettagli che contano nella notizie di
cronaca. “Oggi ho due bellissime storie militanti. Una è il comitato delle
donne di Milazzo contro i veleni della raffineria e le loro tracce nelle urine
dei bambini. Storia di mobilitazione stupenda, guidata da un prete settantenne
davanti a un sindacato incattivito. L’altra sono i bambini del conservatorio ‘Falcone-
Borsellino’ di Catania, sfrattati dalla loro sede, bambini dei quartieri poveri
che non sanno più dove provare. E’ l’Italia di ogni giorno. L’Italia mai così
spaccata, non dalla politica ma dalle disuguaglianze. Vedi, fare il giornale è
difficile, non sono nemmeno tempi eroici; e sono proprio i tempi incolori che
chiedono più coraggio. I ragazzi qualche volta non capiscono, così abbiamo
bucato i tre giorni di ‘Contromafie’, che è come non avere la guardia alla
polveriera”. Dalla sua Milazzo, che lo vide un giorno militante di Lotta
Continua, questo intellettuale organico dell’Italia degli onesti sembra
governare idealmente il mondo con mail garbate, piene di “cortesemente” e “per
gentilezza”. Le sue legioni sono i giovani e i giovanissimi che crescono ovunque
al verbo dell’antimafia. Li pesca con il fiuto del setter di razza: da Modica o
da Sedriano, da Bologna o da Scampia, dalle cooperative sociali o dalle università.
L’Italia che pensa che l’antimafia sia solo un fatto giudiziario non sa di
perdersi una delle sue parti più belle. Come guardarsi allo specchio
nascondendo sotto occhiali affumicati occhi sfolgoranti.
Questo ho pensato “sfogliando” al computer l’ultimo numero del mensile (su cui Riccardo mi ha fatto l’onore di riservarmi uno spazio), scoprendo tra le firme quel mio allievo, quel ragazzo conosciuto in una scuola di provincia o quella studentessa della professoressa Pellegrini di Bologna o quel redattore di Antimafia Duemila. E chiedendomi come diavolo abbia fatto, lui da Milazzo, a conoscere questi esemplari di un mondo vitale e primaverile, come ottenga ogni mese di averne pezzi e racconti sempre nuovi. O foto e disegni e informazioni da antologia.
Chi pensa che non ci siano alternative all’Italia tutta fuffa e imbrogli, si ricreda. Questo maturo garibaldino pieno di acciacchi, spesso privo dei soldi per curarli, ne estrae ogni mese il meglio senza un euro. Rivado, chissà perché, a quando quasi vent’anni fa, dopo la vittoria dell’Ulivo, immaginavo di vederlo assumere nelle redazioni che contavano. Avrebbero fatto a gara, ne ero certo. E invece scoprii che comandava ancora Vespa e che lui dormiva alla stazione Tiburtina, prima di arrendersi all’idea che la capitale non era cosa sua. A Milazzo era cresciuto e a Milazzo doveva tornare. Talpa mai sazia di scavare, partigiano mai stanco di sperare.
Nando
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