Un Paese per due. A proposito di Roma e delle mie “Storie”

 

Il Fatto Quotidiano, 7.12.14

Voglio scrivere storie belle,
edificanti. Che siano d’esempio in un paese marcio di corruzione e indifferenza.
Così nacquero queste “Storie italiane”. Che oggi, in un gesto di lucida
ribellione, voglio prendere in blocco e scagliare contro gli attori di ogni
ordine e grado di Mafia capitale. Sperando di far loro del male.
Conobbi un impiegato
di Sala Baganza, provincia di Parma, Ufficio per le relazioni con il pubblico.
Si chiamava Carlo Rampini. Aiutava i ragazzi afghani arrivati in Italia
nascosti o aggrappati ai Tir, o con i barconi disperati, storie da “Cacciatore
di aquiloni” o “Nel mare ci sono i coccodrilli”. Fece nascere Asvali, associazione
di volontariato sociale degli afghani liberi in Italia. Ragazzi che ne avevano
viste di tutti i colori. Uno di loro, mi raccontò Carlo, al suo paese lo
facevano ballare vestito da donna, poi i
signori locali sfogavano su di lui le proprie libidini. Quasi tutti, mi
spiegava, erano appartenenti a un’etnia, quella degli hazarà, considerata un’etnia
di servi. Mi parlò di quel che usciva dalla loro memoria quando incontravano
gli psicologi, i medici, gli psichiatri: “la donna decapitata in piazza perché
aveva una caviglia scoperta, il traffico d’organi, le torture, i ragazzini
fatti prigionieri per trasformarli in kamikaze, lo sfruttamento sessuale o
l’esercito che fucila sul posto chi è sospettato di collaborare con i
talebani”. Ecco, ho pensato a lui, che purtroppo non c’è più, leggendo che a
Roma l’accoglienza
 di rifugiati e profughi fa “guadagnare più della droga”. E ho
pensato a che cosa potrebbe uscire dalla memoria dei minori “presi in cura” dagli squali del terzo
settore romano, avidi di rette succulente. E anche a come criminalità,
politica, cooperazione possano fondersi in quell’intrico di mondi che un po’
odora di pistoleri, un po’ di primarie, un po’ di Finmeccanica, un po’ di
assessori, un po’ di poliziotti e politici al soldo. Con i minori ancora  
trasformati in merce là dove li attende l’
“aiuto umanitario”.

La cooperazione, la beneficenza, appunto. Ho incontrato un manager bergamasco,
Ferruccio Piazzoni si chiamava, sessantenne cordiale ed entusiasta, a suo tempo
cattolico del dissenso, che era andato a Partinico. E che, sapendo di avere un
male da cui non sarebbe guarito, aveva deciso di trascorrere gli ultimi anni di
vita aiutando la cooperativa “Libera-mente”, a cui aveva portato un bel po’ di
soldi di Unicredit Foundation e quel “sano vento d’impresa” che già alcuni
giovani di talento avevano iniziato a far soffiare nel mondo di Libera Terra
Mediterraneo. Mi disse: “Certo che mi sento questa responsabilità. Libera Terra
Mediterraneo le sfide le sta già affrontando. Noi, come singola cooperativa,
stiamo cercando di recuperare i tempi. Ho trovato un limoneto, che era del clan
Vitale, dove non c’è acqua. E poi professionalità da formare, non c’era nessun
rudimento tecnico-pragmatico, tanto che abbiamo fatto fare due corsi intensivi
alla Bocconi. Da bergamasco voglio partecipare a questa grande scommessa
collettiva. Dove abito? In una casa d’affitto a Partinico. Pensi che il mio
nome è l’unico sul campanello del portone di casa. Ma non ne parliamo.
L’importante è che i limoni ora li piazziamo bene.” Se ne andò obbedendo al suo
destino, ma scegliendo quest’ultima causa nella vita.

Chissà quale ultima causa sceglieranno i poliziotti che andavano ad avvertire
Massimo Carminati delle inchieste in corso su di lui. E che si dicevano
“affascinati” dai suoi racconti di vita, compresa la volta che sparò a uno di
loro. Spero che vengano identificati e radiati, oltre che perseguiti
penalmente. Ma per il momento scaglio contro di loro l’immagine di Dannato,
ovvero il luogotenente dei carabinieri Michele Gallo, oggi in pensione a Trani
dopo avere catturato prima terroristi rossi, poi terroristi neri e infine mafiosi,
e che ancora cerca di rendersi utile nella lotta alla criminalità organizzata
impegnandosi nella società civile. Lui era affascinato solo dagli eroi della
lotta alla mafia e al terrorismo.
 

 

E che dire, infine, delle cene di finanziamento politico dove umanità varie si trovano tutte insieme appassionatamente, senza sapere chi incontrerà chi, come è ovvio che sia quando si chiede di pagare una cena almeno mille euro? Il famoso “mondo di mezzo” è semplicemente il mondo della promiscuità mai respinta; e che emargina chi la respinge. Che accoglie e promuove i “compatibili”. E grazie al quale i più delinquenti e i più babbioni hanno le maggiori probabilità di carriera, bisogna solo decidere se servono più gli uni o gli altri. A queste promiscue tavolate e compagnie scaglio addosso la cena di finanziamento organizzata giovedì sera dall’Istituto alberghiero “Amerigo Vespucci” di Milano a sostegno delle cooperative di Libera. Pensate: cuochi e camerieri e hostess dai quindici ai diciassette anni a fare tutto, che davano il benvenuto spiegando la loro scelta di campo, insegnanti e vicepreside orgogliosi dei propri allievi e tante famiglie modeste, felici di esser lì a finanziare l’antimafia con poche decine di euro; in cambio dei ceci, della pasta, delle melanzane e dei vini dei beni confiscati.
E’ l’immagine chiara, plastica, di un paese per due. Di qua i banditi, di là i buoni cittadini. E la politica che, chissà perché, tra complicità e silenzi, voti e soldi, sembra avere sempre un debole per i primi. Finché giudice non la separi.

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