Storia di Silvia e dei “suoi” detenuti. Chiudete quella coop, funziona troppo bene

 

Il Fatto Quotidiano, 21.12.14

La Silvia, così la chiamano i detenuti, ha la testa fissa sul
piatto. A mangiare non ci riesce. Sta preparando un Natale allegro per i
nipotini. Il suo sarà altra cosa: magone, incredulità, rabbia. E il filo di
speranza di chi non vuole arrendersi . Pessime notizie in arrivo
dall’amministrazione delle carceri. Ragazzi, si sbaracca. Tutto finito. Bollate,
Ivrea, Padova, Rebibbia, Trani, Siracusa, Ragusa, Torino: le cooperative di
cucina e catering dei detenuti chiudono. Che altra espressione aveva la Silvia
nell’aprile del 2010 quando entrò per la prima volta in queste “Storie
italiane”. Che orgoglio le si disegnava sul volto quando parlava dei “miei
detenuti”, che portava come gioielli, eleganti e professionali, a fare catering
nei luoghi delle istituzioni, perfino nel Palazzo di giustizia; quando
raccontava dei camerieri che servivano l’aperitivo al giudice che li avevano
condannati. In tutta Milano si parlava di quel miracolo.
“Abc la sapienza in
tavola” si chiama la cooperativa onlus che Silvia Polleri, una vita nel
volontariato internazionale e milanese, ha fondato dieci anni fa a Bollate con
l’appoggio dell’allora direttrice Lucia Castellano, che lavorava con successo a
realizzare un carcere d’avanguardia. “Come dipendenti della cooperativa, solo
detenuti. E’ stata un’occasione formidabile di reinserimento e di costruzione
di mestieri e professioni”, ricorda ora con puntiglio, “pizzaioli, pasticcieri,
cuochi, camerieri, gastronomi. Come è possibile che finisca tutto? Qui e nelle
altre carceri?”. Brucia l’umiliazione di chi ha lavorato per una giusta causa e
si sente dare il benservito; ma brucia soprattutto l’assurdità di una decisione
che, mentre tutti si stracciano le vesti per le condizioni carcerarie, toglie
ai detenuti una simile opportunità di riscatto.
Ed ecco il motivo. “L’amministrazione penitenziaria ha spedito una lettera al
direttore in cui si comunica che dal 31 dicembre per le nostre cooperative non
ci sarà più spazio. Noi abbiamo in comodato d’uso i locali di cucina del carcere,
ci paghiamo le utenze e serviamo i pasti ai detenuti. Poi gestiamo autonomamente
le richieste che ci arrivano dall’esterno. Ora ci si dice che i fondi con cui
siamo stati pagati, ossia quelli della cosiddetta Cassa delle Ammende, non sono più
disponibili. Erano riservati alle start-up carcerarie, e noi non lo siamo più
perché ormai ci siamo consolidati. Capito? E ci viene spiegato che non esiste
un capitolo di bilancio in cui possano iscriversi le nostre spese. Così si
vuole tornare al sistema antico delle mercedi, ossia ai lavori in economia, ai
detenuti che a turno svolgono attività di interesse collettivo. Ma questo non è
un percorso di reinserimento, così nessuno si fa un mestiere. Ma lei lo sa che
tra i detenuti che fanno esperienza di lavoro in imprese e cooperative sociali
la recidiva è del 12 per cento invece del 70? Senta qua: noi a Bollate
allestiamo all’esterno catering e banqueting di alto profilo per aziende, privati
e istituzioni, ed è nata perfino una
sezione staccata della scuola alberghiera, con diploma quinquennale. Ma poi, per
dire, a Padova la cooperativa Giotto produce panettoni di alta qualità, a Trani
fanno i taralli, a Ragusa i torroni, a Ivrea i biscotti della Banda Bassotti.
Diventano professionisti della ristorazione, imparano a utilizzare e mantenere
i macchinari di un centro cottura”. Non si dà pace, la Silvia. Solo per le
start-up…Come dire che ai detenuti che sono riusciti a fare una cosa buona e
giusta gli si dice tutti in cella… Non c’è un capitolo di spesa… E che ci vuole
a prevederlo?

 

 

Telefona, si informa, non ci crede che possa finire tutto così, che per le carceri italiane si chiuda una delle poche cose buone fatte in decenni di sovraffollamenti, suicidi e anche omicidi. Racconta di quando accusarono la sua cooperativa di costare troppo e poi facendo i conti con altre sezioni di Bollate si scoprì che faceva risparmiare. Che colpa aveva mai “Abc la sapienza in tavola” agli occhi di qualche burocrate lontano?
A questo punto prende però direttamente la parola il sottoscritto, a sua volta incredulo, e che qualcosa di pubblici appalti ha imparato a masticare, studiando di corruzione e di infiltrazioni mafiose. Siamo sicuri che la chiusura (anziché la moltiplicazione) di queste esperienze non sarà entro un paio d’anni l’anticamera di qualche appalto al massimo ribasso, il tappeto rosso per uno dei tanti Buzzi che infestano le nostre contrade? Ora avremo certo belle promesse. Ma siamo sicuri che qualcuno non proporrà di fare gestire il catering direttamente dai fornitori, abolendo così ogni controllo di qualità, o facendo entrare nel carcere le imprese che bussano da fuori, come quella legata alla ‘ndrangheta che aveva puntato diritto sul catering di San Siro? Vedendo quel che accade e sapendo come nascano certe decisioni in invisibili uffici pubblici, e sempre con impeccabili motivazioni, vien da dire: è qui che si vede come si governa un paese; l’intelligenza con cui si previene il malaffare. O no?
La Silvia, nel suo candore, queste cose non le pensa. Pensa ai “suoi” detenuti e a una grande esperienza umana e professionale che tira giù la saracinesca. Ma io ci penso. Faccio male?

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