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Il “pacco alla camorra” di Sìmmaco il contadino
Il Fatto Quotidiano, 4.1.15
Ma pensa te se lo dovevo conoscere a Cracovia. Mentre con i
capelli raccolti dietro la nuca incantava con i suoi racconti il pubblico
dell’Istituto italiano di cultura. Qui mi manca un pezzo, mi son detto. Perché
se uno si chiama Sìmmaco, Sìmmaco insisto, ed è da anni fra i protagonisti dei
movimenti anticamorra, dovresti pur conoscerlo. E invece lo scopri in Polonia mentre
è lì a spiegare il suo “pacco alla camorra”, a offrire mozzarelle e melanzane sott’olio,
a narrare quel che dovette fare per ottenere che il bene confiscato al clan
Moccia fosse messo a norma e per difenderlo dalle aggressioni dei guaglioni.
Un tipo così dovrebbe conoscerlo il presidente Napolitano, che giustamente nel
suo discorso di Capodanno ha voluto indicare gli esempi positivi di questa
Italia impestata di corruzione. Ma che, date le premesse, oltre all’astronauta
e alla scienziata avrebbe dovuto rendere onore a qualche testimone della lotta
per la legalità. Ecco, Simmaco Perillo ci sarebbe stato alla perfezione.
Assistente sociale, quarantenne, questo combattivo esponente della Campania in
cerca di nuovi destini, è il presidente della cooperativa sociale “Al di là dei
sogni” di Maiano, frazione di Sessa Aurunca, provincia di Caserta. Una onlus
nata nel 2004 e che oggi gestisce diciassette ettari, sui quali abitano e
lavorano in totale ventuno persone. Ne tirano fuori sott’oli, sottaceti,
marmellate, passate di pomodoro, legumi. Cooperativa di tipo b, ossia che
promuove il reinserimento di persone svantaggiate. E che all’inizio ha dovuto
difendere coi denti la ex fattoria dei clan, dove si allevavano cavalli.
“Quindici giorni dopo che ci furono consegnate le chiavi, arrivarono ‘loro’ di
notte. Tirarono giù dei muri, sfondarono le finestre, tranciarono l’impianto
elettrico, distrussero quello idraulico. Allora decidemmo di dormirci dentro.
Per quattro mesi. Sacchi a pelo, lampada e stufa a gas. Fu una cosa
spettacolare, perfino allegra, perché dalla parrocchia tutte le sere arrivavano
trenta-quaranta ragazzi a farci compagnia. Fu una rivolta di comunità. Era il
2009. Il contratto regolare di affidamento l’abbiamo dal 2011”.
“Se vengo dal mondo cattolico? Sì, sono stato segretario della Caritas
diocesana, ho guidato il gruppo di animazione della diocesi, ero anche andato a
studiarmi le tecniche di animazione degli oratori di Como, i più famosi. Ormai
non ho più tempo per niente. Sai quanti scout sono venuti qui nei week end da
novembre a oggi? 470, tutti campani, per dire quanta mobilitazione sta
crescendo intorno a noi”.
Simmaco non è un chiacchierone, e nemmeno un esibizionista. Ma potrebbe tenere
l’interlocutore incollato per ore ai suoi racconti. Quello di Ernesto, per
esempio. Sordomuto, spastico. Arrivato come soggetto “socialmente pericoloso”
per gli atti di autolesionismo a cui si abbandonava nei momenti di rabbia. E
che ora è uscito da ogni programma di riabilitazione, ha ritrovato le sue
origini contadine e insegnato a tutti a zappare. O quello dell’accordo con la
Cleprin, azienda di detergenti industriali che si è rifiutata di assumere il
fratello del boss, e che con la cooperativa ha avviato un progetto per un
detersivo biologico. Qui è tutto biologico infatti, in una terra avvelenata dai
clan non potrebbe esserci ambizione più santa. Perciò ci si dedica anche alla
ricerca scientifica. Davvero chi pensa che queste cooperative servano solo a
fare beneficenza prende un granchio solenne. Perché quella di Simmaco, ad
esempio, lavora con l’Istituto di
ricerca campano del seme autoctono, che sui suoi ettari confiscati sta
sperimentando il fagiolo cannellino. Anche questo imparano i circa quattrocento
ragazzi che vengono ogni estate soprattutto dal nord, molti ancora minorenni, a
far lavoro volontario. Entrano in questa
economia sociale che sta mettendo in rete decine di imprese, nutrita di storie
e di testimonianze. Come quella di Alberto Varone, il commerciante che i clan
uccisero perché non aveva voluto ceder loro le sue attività. Vittima
sconosciuta ma non qui, dove se ne tramanda con orgoglio la storia, tanto che alcuni
ragazzi di Torino, una volta ripartiti, gli hanno dedicato una piccola fiction.
“Il pacco alla camorra? Fa il verso al pacco che a Napoli veniva tirato ai turisti vicino alla stazione. Ora lo tiriamo noi alla camorra, perché è fatto con prodotti nati dall’economia sociale e dai beni confiscati: biscotti, olio, vino falanghina della cooperativa ‘Resistenza anticamorra’ di Scampia, i nostri broccoli sott’olio, un grembiule che viene dalla sartoria sociale di Castelvolturno, sono donne uscite dalla tratta. Lo facciamo da cinque anni. La prima volta, devo dirlo, pareva una schifezza. Ma questo Natale, con il Nuovo commercio organizzato, ne abbiamo venduti quattromila. La scommessa è cambiare l’economia. Le forze dell’ordine il loro dovere l’hanno fatto. I grandi latitanti sono in galera. Ma poi ricomincia tutto dall’economia infetta, e da lì si torna alla politica”. Simmaco ha accanto la moglie Paola, stesso splendido sorriso battagliero. “Si può fare. Sai, io dico che non esistono solo i sogni. Ormai esistono anche le realtà che si sono sognate”.
Nando
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