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Mafia a Milano. Dialogo tra un manager e una stagista (con vista sul Manzoni)
Il Fatto Quotidiano, 5.1.15
Erano le dieci del mattino. Dal grattacielo in zona Garibaldi si vedevano
verso nord le montagne innevate. Era una di quelle rare volte in cui il
cielo di Lombardia si fa “così bello quando è bello”. Il manager lo disse
alla stagista, dandole le spalle. Poi si voltò: “Lo ha notato? Ormai questa del
cielo di Lombardia è l’immagine del Manzoni più amata dai milanesi. Per
il resto rimuoverebbero tutto: i bravi, don Abbondio e don Rodrigo, per non
parlare di quel don Ferrante che non voleva vedere la peste. E’ la Lombardia
del Seicento, in fondo, ma evoca le storie calabresi della Lombardia di oggi.
Meglio una bella rimozione alla radice”. Poi lo assalì il dubbio: “Lei conosce,
vero, i ‘Promessi sposi’? Voglio dire: gliel’hanno fatto studiare bene a
scuola?”. Il manager era un tipo colto. Di quelli che comprano i libri
all’aeroporto. E possedeva anche una certa etica del dovere. Gliela aveva
trasmessa uno zio professore di liceo da cui soleva passare le sue estati da
bambino. La stagista rispose che sì, il Manzoni gliel’avevano fatto studiare,
ma le era sembrato un po’ lento e dottorale. Disse proprio così: dottorale. E
aggiunse, sinceramente incuriosita: “ma perché ha accennato a quelle storie
calabresi, di mafia immagino? Non che abbia frequentato molto il mondo degli
affari, ma non mi sembra che a Milano e in Lombardia ce ne sia tanta. Certo,
vengono qui a investire; e dove se non nella capitale della borsa? L’importante
è che la città resti la stessa di sempre. Civile, ordinata, buoni asili e
metropolitana che funziona. E così mi sembra che sia. D’altronde se guardo a
Roma e a quello che è uscito sui giornali… un omicida di destra e un omicida di
sinistra padroni insieme della capitale d’Italia. Ma ci pensa, dottore? A
Milano non succede, non succederebbe. Il guaio è che Roma è sempre Roma. E se
il sistema Italia è ridotto a questo punto una ragione c’è. Il pesce puzza
dalla testa, diceva mio nonno”.
“Sistema
Italia” aveva detto. Il manager era anche uomo educato, sicché non lasciò
trasparire il raccapriccio. Ma iniziò ad argomentare con gentilezza. “Senta,
Claudia, quel che è successo a Roma è sicuramente grave. Anzi è immondo, e
grida vendetta al cielo per tutti i cialtroni e i tangheri di destra e di sinistra
che ne hanno tratto lucro. Ecco, lo vede? Senza volerlo ho usato di nuovo un
vocabolario manzoniano: cialtroni, tangheri…Dev’essere la giornata. Ma insomma,
lei pensa che a Milano, nel suo hinterland, in Brianza, a Pavia, sullo stesso
lago di Como, o esattamente sul ramo di Lecco, non vengano stretti patti
criminali tra delinquenti mafiosi e fior di professionisti, imprenditori,
amministratori pubblici, uomini di partito, anche di livello molto alto? E’
vero, a Roma un pistolero che bestemmia in romanesco si comportava, con il suo
socio, come il padrone del Palazzo. Ma lei crede davvero alla favola che qui a
Milano comandino invece quelli in doppio petto che parlano in inglese? Li ha
mai visti in tivù i filmati con i capi della ‘ndrangheta lombarda? Ha letto sui
giornali qualche intercettazione telefonica o ambientale?”.
“Dottore”,
replicò un po’ spiazzata la stagista, “veramente in questo periodo penso più a
crearmi una professionalità”. “E fa male”, obiettò il manager, “la
professionalità non può prescindere dalla consapevolezza del mondo in cui si
opera, e in cui dobbiamo mostrare con i nostri comportamenti che tipo di
professionisti siamo. Lei lo sapeva che proprio a Lecco un boss mafioso ebbe
vent’anni fa una benemerenza civica dall’Unione dei commercianti? Dico, non
soldi aumma aumma, ma una pubblica benemerenza. Vuol dire, davanti a tutti, ‘i tuoi valori sono i miei valori’. O no? ”.
“Vent’anni fa!”, colse al volo la giovane. “Ma allora non si sapeva, chi poteva
sapere? E poi, dottore, il male esiste. Non abbiamo avuto forse quel politico
in Regione che ha comprato i voti mafiosi per farsi eleggere? Ma quello era
marcio lui, era un mafioso. Non abbiamo un sistema criminale come a Roma”.
“No,
Claudia, quello non era un mafioso. Ci pensi: se lo fosse stato, non avrebbe
dovuto comprarsi i loro voti. Faceva solo parte di un sistema convinto che con
la mafia e la ‘ndrangheta si possono fare accordi: dai piani regolatori alle
autostrade, dagli appalti di servizi alle convenzioni ospedaliere. Lei lo sa che
in Lombardia una grande multinazionale dei trasporti, la Tnt, un colosso
olandese dico, è stato messo nelle mani dei clan calabresi? E sa chi è stato il
regista dell’operazione? Un ex colonnello dei carabinieri. E sa quanti sono i
latitanti che si fanno curare sotto falso nome o i detenuti che si fanno
mandare agli arresti domiciliari dai loro amici nelle famose eccellenze del
nostro sistema sanitario?”.
Il manager era partito come a singolar tenzone. Avrebbe voluto spiegare e raccontare tante altre cose: la moltiplicazione surreale delle rotonde in tutta la regione o i manti stradali da rifare ogni due per tre, tutti lavori graditissimi dai clan, gli incendi e le bombe mai denunciati, le false perizie. Le carriere dei medici negli ospedali pubblici, qualcuno perfino in fama di pistola. Le cave inquinate. Era un po’ una mosca bianca nel suo mondo. Ma dava prestigio alla categoria. Ed era spesso citato per le sue frasi impegnative. Per questo d’altronde la neolaureata aveva scelto quell’azienda, anzi si era fatta raccomandare da comuni amici per andare a lavorare con lui. Molto poi gli raccontava un figlio che al liceo aveva trovato un professore molto simile allo zio delle sue vacanze infantili, tutto etica del dovere, e che perciò sulla mafia informava e spiegava, sono i vizi della scuola pubblica.
Si trattenne, però. La stagista sembrava incredula. Nonostante la continenza dei modi e delle parole tradiva un senso infastidito di ripulsa. Quell’uomo stava abusando del suo potere per farle credere cose non vere, per dipingerle un mondo inesistente, chissà a quale secondo fine. Troppe le cose che non sapeva, per potere essere vere, lei che aveva studiato (“fatta un c… così”, usava dire con eleganza) in una università rinomata e selettiva. L’uomo decise di fermarsi. In fondo, pensò, si può digerire un pezzettino di verità alla volta, anche se, ragionò pure, gli altri corrono, altro che un pezzettino alla volta. Pensò a don Ferrante e alla peste. E si voltò verso la finestra, di nuovo a contemplare il cielo di Lombardia così bello quando è bello. “Però ora basta con questi discorsi, cerchiamo di essere ottimisti”, disse. “Un caffè, Claudia?”. La stagista sorrise.
Nando
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