Verena, Michele e i ragazzi della Berlino antimafia

Il Fatto Quotidiano, 11.1.15

Si chiama Francesco
Sbano. Giornalista, fotografo. Per qualche anno è stato lui il cantastorie
dell’Italia in Germania. Purtroppo. Un video, “Uomini d’onore”. E le “Canzoni
di mafia”. Con la stampa tedesca in sollucchero per tanto folclore, che
ribadiva la diversità culturale e in fondo etnica del popolo degli spaghetti.
Invano i giovani italiani venuti a Berlino portandoci, zaino in spalla, anche
le nuove culture civili apprese a scuola e nelle associazioni hanno provato a
denunciarlo, a spiegarlo. Non erano innocenti, non erano folclore, quelle
canzoni. Ma apologia di ciò che a loro faceva più schifo. Vennero accusati di
intolleranza culturale. Ora hanno vinto loro. E nella Berlino dove arrivano a
fiotti soldi da riciclare in droga e ristoranti e pizzerie, cresce un’altra
Italia. Più giovane e colta, e che pratica e ama l’onestà dei modi. Che si
tiene in rete, promuove le sue iniziative, le sue feste minuscole o grandi, stringe
le sue alleanze. Come da sempre fanno gli “altri”, finora incontrastati.
C’è Verena, ad esempio. Ventottenne dottoranda con la passione del diritto, che
ha una borsa a metà tra Milano e Berlino. Sta studiando la legislazione tedesca
sul riciclaggio. L’accento leggero racconta di contrade venete. Anche se è nata
in Svizzera dove tutti e due i genitori insegnavano l’italiano agli immigrati. E’
di San Martino di Lupari, provincia di Padova. “Undicimila abitanti, dove la
Lega spopola, il Pd non è nemmeno entrato in consiglio comunale. Abbiamo le
strisce pedonali verdi, e verde è l’asfalto delle aiuole a scuola. Dopo la
laurea a Milano ho fatto un master in Sudafrica e poi sono venuta qui. Tre
anni. Ma vorrei fare il quarto, ho appena avuto un colloquio per ottenere una
borsa dalla fondazione dei Linke, un po’ l’analogo di Sel in Italia; sì qui le
fondazioni dei partiti, sembra incredibile, finanziano queste attività sociali
e culturali”. Verena (Zoppei di cognome) ha una frangetta fuori dal tempo e progetti
speciali: “Il mio sogno? Lavorare in una struttura, potrei anche fondarla io,
che metta insieme ricerca e intervento sociale, tipo la prima assistenza agli
immigrati o qualcosa di simile ad ‘Addio Pizzo’. Però, insieme, vorrei
dedicarmi a un altro progetto: fare una famiglia.” Verena dice che forse parla
così perché si avvicina ai trenta. La verità è che la sua attrazione per la
Germania è fatta anche di amore. Capita spesso di trovare questa componente
nelle biografie della nuova gioventù italiana. Il suo fidanzato tedesco si
occupa anche lui di diritto, si prepara a fare il concorso per le professioni
giuridiche. Vuole fare l’avvocato.
E’ qui (pure) per amore, e anche lui si prepara a fare quel concorso, Michele
Grosso, più “anziano” di Verena di qualche anno. Michele ha una bella faccia
leale. La sua premessa è il più implacabile e sincero atto di accusa verso i
clan e i loro cantori. “Mi vergogno un po’ a dirlo” confessa con qualche
imbarazzo, “ma sono calabrese. Di Altomonte, un piccolo paese in provincia di
Cosenza. Ho studiato diritto a Perugia. Sempre lì ho fatto pratica in uno
studio legale, soprattutto cause civili. Ho preso anche una specializzazione in
diritto diplomatico. Ma a un certo punto ho deciso di andarmene. La mia ragazza
è di qua, ci siamo conosciuti in Italia. Però forse questo non sarebbe bastato.
Il fatto è che in Italia la carriera nella professione è davvero condizionata
da troppi fattori, che non hanno nulla a che vedere con quel che vali. Senza
contare lo stato disastroso della giustizia. Che cosa cerco in Germania?
Proverò il concorso per le professioni giuridiche e anche quello di dottorato.
Per quel che voglio fare c’è un grande ostacolo, si chiama lingua. Ma lo
supererò. Ormai mi hanno certificato uno dei livelli di conoscenza più alti.
Stringo i denti ma almeno so che dopo varrà il merito”.
Sul merito ha puntato anche Lorenza Manfredi, architetto del paesaggio, ricci
biondo cenere sugli occhi blu, milanese ventottenne con la erre moscia, e che
ormai ha stabilito (ricambiata) un vero rapporto di amore con la capitale
tedesca. Oggi lavora con un architetto berlinese che coltiva la passione della
lingua italiana. Alle spalle due Erasmus in Germania, a Weimar e a Cottbus, sta
facendo un dottorato su un tema pionieristico: i muri ciechi di Berlino, quei
piani interi ricostruiti senza finestre su un intero lato dopo i bombardamenti.


Nessun dottorato, invece, per Domenico Balistreri e Fabrizio Frau. Domenico,
altissimo e una bellissima bici da corsa, è siciliano di Bagheria. Fabrizio è
sardo. Da luglio hanno aperto in Krossener 36  “Cento passi. Café e Winebar”. Mentre gli
“altri” sfoggiano i lussi del riciclaggio, loro hanno impresso sulla pubblicità
del loro locale il volto di Felicia Impastato, la leggendaria mamma di Peppino.
Per dire da che parte stanno. E così i giovani italiani che girano intorno a
“Mafia Nein Danke”, l’associazione nata dopo la strage di Duisburg, o alla
libreria italiana, o all’osservatorio antimafia promosso da Federico Quadrelli,
hanno trovato un legame in più. Che bello, quando l’immagine dell’Italia può
andare in giro a testa alta tra le persone civili.

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