Luigino il re di Berlino. Nel regno di Mafia Nein Danke

Il Fatto Quotidiano, 18.1.15

Ma certo. Perché non parlare di Luigino il re di
Berlino? Solo perché si è già parlato dei giovani italiani che portano nella
capitale tedesca il soffio dell’antimafia? Ma Luigino è il loro nume tutelare.
E’ qui dall’ 82, epoca del Muro. Da quando, più di trent’anni fa, vi giunse da
ingegnere meccanico e subito si industriò da cameriere per mantenersi. E poco
importa che negli anni scandalosi delle leggi berlusconiane abbia rinunciato
per protesta, lui sì davvero, alla cittadinanza italiana e scelto quella
tedesca. Conta che si sente italiano fino al midollo e che proprio l’Italia
intende rappresentare nella sua inesausta attività pubblica. Vedendolo arrivare
da lontano sulla sua bici e sotto il berrettino di lana grigio, i baffetti e il
viso scavato, potresti indovinargli qualsiasi mestiere di popolo: postino o
artigiano, tipografo o infermiere. E invece Luigino Giustozzi, marchigiano di
Montecosaro, provincia di Macerata, si è guadagnato sul campo il soprannome di
“re di Berlino”. Calzatogli addosso con ironia ammirata, ma anche cogliendo un
nocciolo di verità, di cui qui narreremo.
Di una cosa potete infatti star sicuri: che quando nella Berlino cosmopolita e
sempre più spumeggiante di giovani accade qualcosa di buono per il nome
dell’Italia, lui c’è.  Sulle prime lo
diresti un habitué, di quelli che non se ne perdono una. Poi, osservando bene
persone e contesto, scopri che è il regista discreto. Sempre sotto traccia,
come i veri comandanti. Con sobrietà dei modi, senza l’ansia di apparire. Non
importa se la sede di “Mafia Nein Danke”, la creatura sua, di Laura Garavini,
di Bianca Negri e di alcuni ristoratori, è una stanzetta messa a disposizione
da un’associazione, l’Ane, dove si fa fatica perfino a mettersi in rete col
computer. Perché poi per le discussioni che contano, per la tessitura delle
relazioni, c’è la casa di Luigino. Un pianterreno a Kreuzburg, il grande quartiere
operaio e punk, turco e artistico, a sud della città. Con giardinetto e piccolo
plesso interno. In questa minuscola reggia il padrone di casa si trasforma in
anfitrione culturale, politico e gastronomico. In cucina sa fare tutto. Il pane?
Ha imparato una domenica andando a osservare il cuoco da ‘A Muntagnola, il
ristorante lucano di Pino, l’ex assessore alla cultura di Scanzano Jonico,
rifugio di Claudio Abbado nelle sue sere berlinesi. Le meringhe? Ha imparato a
Bologna, durante l’università. Le zuppe, la specialità in cui eccelle e per cui
va famoso? Autodidatta. Gli ospiti si riuniscono intorno al tavolo. Si
aggiungono i giovani e giovanissimi italiani del volontariato europeo che a
turno ospita generosamente in casa sua, ora che due dei tre figli se ne sono
andati. E in un quarto d’ora sforna le pizze. Nel frattempo e soprattutto dopo,
per lunghe ore, è tutto un fiorire senza fine di informazioni, di idee e di
progetti. Parlano i giovani campani e siciliani, torinesi e milanesi, giunti
dall’Italia o da Bruxelles. Che cosa succede, chi arriva la prossima settimana a
Berlino, come impegnarlo, dove ospitarlo, che progetti di conferenze e di
ricerca sono in cantiere, come trovare qualche fondo per metter nuova benzina
in “Mafia Nein Danke”. E poi: che rapporti con l’università, con le scuole, con
la libreria, con l’Istituto italiano di cultura, con i ristoratori italiani,
con i giornalisti italiani e tedeschi, con gli artisti. Sia chiaro, non è
questo il suo mestiere, che lo porta invece a lavorare con le associazioni dei
genitori in diverse scuole, specie alla Finow Schule, un istituto bilingue dove
si occupa della “componente” italiana, si tratti della parte amministrativa o
di quella culturale, gastronomia e tarantella comprese. In fondo la scuola è un
po’ il marchio di famiglia; la moglie Dorotea insegna letteratura tedesca alle
superiori. Però è la lotta per la legalità dall’Italia alla Germania e poi
all’Europa intera che dà un timbro
inconfondibile alla sua esistenza pubblica.
“Sai cosa mi piace?”, si è confidato una sera, “mi piace soprattutto accoppiare
le persone, creare connessioni tra la gente. Io studio le affinità, immagino la
possibilità che nascano forme di cooperazione, che i progetti si intreccino. Che
il tessuto su cui poggia il nostro lavoro sia il più ampio e resistente
possibile. Tu devi pensare che spesso i giovani che portano impegno e
competenze stanno qui per due anni o addirittura per alcuni mesi, una borsa in
università, una ricerca, poi vanno via, e tutto può diventare passeggero,
qualcuno sta qui solo alcuni giorni, mentre c’è bisogno di una organizzazione.
Di una rete di relazioni stabili, da mantenere anche a distanza”.

Ecco. E’ qui che entra in scena il regista. Colui che “accoppia” e che “connette”, andando ai dibattiti, ai seminari, creando nuove conoscenze e poi aprendo la sua casa agli incontri in cui si decidono cose importanti tra interminabili bicchierini di Sibilla, l’amaro marchigiano dei monti Sibillini. E’ qui che nei movimenti è nata la sua fama stramba e meritata. Del comandante che non dà ordini. Del re senza forzieri, che al posto della corona porta un berrettino grigio o un casco da ciclista.

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