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Marta, barista a Berlino per cambiare l’Italia
Il Fatto Quotidiano, 1.2.15
Una
bandiera rossa sventola, lacera e malinconica, sulla ciminiera. La neve
ingentilisce lo squallore spettrale di questo angolo di Berlino est, tra pareti
altissime di nudi mattoni e finestre bianco sporco allineate disciplinatamente
tra le strade intitolate ai miti del socialismo: Karl Liebknecht, Rosa
Luxemburg, Karl Marx. Per paradosso felice è qui, in Schonhauser Allee, che
sorge uno dei centri culturali più vivi ed effervescenti della città. E’ il
Kunsthalle, “luogo dell’arte”, un immenso container verde marcio a tre piani,
con il pavimento stradale che lo attraversa dall’ingresso fino al grande schermo
che sovrasta il passaggio al cortile interno, un vasto recinto brullo in cui
due murales colorati sembrano una benedizione pennellata dal cielo.
In questo luogo che sperimenta arte ogni sera e notte c’è sulla destra un bar.
E nel bar risuona un accento marchigiano. Non cantilenato. Scoppiettante. E’
Marta, una ragazza italiana di vent’anni, che questo locale l’ha praticamente sposato,
quasi trovandovi la ragione della sua scelta di vita. I capelli lunghi neri,
un’energia vulcanica, Marta Tirabassi è approdata qui in ottobre, quasi un anno
dopo essere arrivata a Berlino. “Sono di Castel di Lama, della provincia di
Ascoli Piceno, dove ho fatto il liceo linguistico. Sono venuta qui perché
Ascoli mi andava stretta, perché mi sentivo sbagliata per quella città. I miei?
Mi han lasciato andare. Mio padre ancora adesso piange, ma mi ha detto ‘parti,
qui non sei felice’. E pochi mesi dopo il diploma sono partita. L’ultima prova
che non avevo molto da dire a quell’ambiente l’ho avuta d’altronde proprio alla
maturità. Portai una tesina sui Pink Floyd. Ogni canzone era collegata a una
materia. Time a Seneca, per esempio.
Ma nessuno fu incuriosito da quel progetto; in cui sostenevo, attraverso The Dark Side of the Moon, che non
esiste la faccia scura della luna. Che la nostra faccia nascosta è la più viva,
la più anticonformista, e che bisogna valorizzarla senza paura”.
E quale altra città poteva scegliere una ragazza con quelle idee in testa?
Marta sa l’inglese, lo spagnolo (“fluentemente, pensi che sono andata a seguire
gli indignados in Spagna”), e ora anche il tedesco. A Berlino ha trovato quel
che solo qui forse si trova. Un appartamento in quattro, 150 euro al mese a
testa. Dentro nemmeno una sedia. “Sa come l’abbiamo arredato? Senza spendere un
euro. C’è un sito, ‘Free your staff Berlin’, in cui si comunicano i propri
bisogni: ricevere o liberarsi di mobili. Ci sono arrivate duecento proposte.
Incredibile, no?”. L’immenso container simboleggia i desideri che Marta aveva
nello zaino. “Funziona così”, e gli occhi mandano bagliori di entusiasmo, “c’è
un network che va dalla Corea al Canada, si chiama Platoon. Ci si scambiano
continuamente idee, progetti culturali. Il container sta in quel network. E
ogni sera ospita mostre fotografiche, di video, rassegne di film di nuovi
registi, concerti, serate a tema da tutto il mondo. E ogni giorno
l’allestimento viene smontato e rifatto. Mai uguale a se stesso. La prima volta
che l’ho visto ne sono rimasta affascinata. Così quando un’amica mi ha detto
che c’era un posto di cameriera, dalle cinque del pomeriggio fino a notte, io
mi ci sono fiondata. Perché ho detto ‘l’importante è entrarci, poi ci penso io’.
Sa, io ho proprio la passione per l’organizzazione degli eventi culturali. In
Ascoli (dice proprio così, da buona ascolana; ndr) io ne organizzavo. Una volta
feci un festival per le band emergenti della città. Avevo fondato
un’associazione, si chiamava “La Fenice”, per dire che bisognava risorgere dalle
ceneri di Ascoli. Pensi che a sedici anni volevo organizzare con un mio amico una
mini-Woodstok. Raccogliemmo anche i fondi per farla in un parco. L’assessore
alla cultura invece di essere contento ci disse che eravamo i soliti comunisti
che si facevano le canne e che gli avremmo distrutto il parco. Ci chiese una
cauzione irraggiungibile. Per questo sento che qui riuscirò a fare quel che
sogno. E già partecipo alle discussioni sui progetti, già mi ascoltano”.
Quindi rimarrà sempre a Berlino, Marta? “Come si fa a sapere…Voglio raggiungere il livello C1.2 nella conoscenza del tedesco. E’ quello che serve a iscriversi all’università. Voglio fare Scienze politiche e poi il Master in organizzazione degli eventi culturali. Qui le idee si contaminano, si parlano più lingue nello stesso giorno. Mi piace l’innovazione, mi piace vivere nel cambiamento invece di averne paura, mi piace potere stare in un bar per un’ora senza che nessuno ti inviti ad andartene. Nessuno ti giudica. Imparerò molto. E vorrei portare un giorno tutto quello che ho imparato al servizio del mio paese, dove ci sono troppe menti ristrette. E’ la mia utopia”
Così parlò una ventenne italiana che nella Berlino del vecchio est comunista ha trovato il cuore dell’Europa del futuro. Volete sapere se con Marta ho parlato anche di mafia? Sì. E ho scoperto che a scuola ha lavorato con Libera e vuole andare prima o poi a fare un campo nei beni confiscati. Già, i mafiosi dilagheranno pure ma ormai gli antimafiosi pullulano. E anche questa è una bella notizia.
Nando
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