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Dusseldorf: il nostro onore difeso dalle donne
Il Fatto Quotidiano, 8.2.15
Benedette donne. Decise a fare da avamposto di un paese che
scricchiola. Perché nessuno pensa mai a che cosa vuol dire consegnare al mondo
l’immagine di un’Italia di scandali, mafia
e nuove messaline al potere. Ma poi all’estero, dove la stampa non si inchina
ai potenti nostrani, c’è chi deve prendersi la croce. E dire ogni volta, tra
sarcasmi e sberleffi, “sono italiano”. Magari mentre le grandi università
tagliano l’insegnamento della nostra lingua e letteratura perché quando
scarseggiano i fondi si inizia con le civiltà in decadenza. Frustrazioni.
Frustrazioni forti.
A Dusseldorf un gruppo di donne ha detto
basta. E in questa parte dell’estremo ovest della Germania ha fondato “Italia
altrove”. Sono un centinaio, non una conventicola sparuta. Insegnanti,
consulenti d’azienda, quadri dell’industria, architette, traduttrici,
casalinghe. La nuova emigrazione colta, il meglio del paese che va all’estero. Con
due obiettivi: restare aggiornate sulle novità letterarie, musicali, teatrali
del loro paese e promuovere, dell’Italia, aspetti “altri” da quelli che
conquistano di solito i titoli dei giornali tedeschi. Organizzano concerti e
incontri con autori, serate a tema, proiezioni di film e laboratori per
bambini. Ma anche visite guidate in italiano e attività sportive. Qualche
giorno fa è stato il primo anniversario dell’avventura, e l’hanno celebrato con
una festa a base di cibi fatti in casa. Allegre, perché la foto che resta a chi
arriva è quella di una laboriosa allegria.
Chiara Leonardi, la presidente, è una signora bionda giovane e gentile. Un
carisma fatto di modestia. “No, il merito non è mio. Se l’associazione è nata
lo si deve soprattutto a Manuela, che ora è a Francoforte dove punta a fare il
bis. Abbiamo iniziato come gruppo di lettura. Ci riunivamo, ci davamo un libro
da leggere e poi ci ritrovavamo a commentarlo. A intervalli di settimane.
Finché abbiamo pensato che sarebbe stato bello fare nascere da questa
esperienza un’associazione. In fondo le comunità francesi, inglesi, americane,
hanno le loro associazioni. Non vuol dire chiudersi. Vuol dire coltivare una
propria identità, per integrarsi con più autostima nella società che ci ospita.
Noi vogliamo dare un’altra immagine dell’Italia. Che sia all’altezza della
nostra storia, capace di farsi rispettare. Ma lo sa lei che nel pieno della
stagione berlusconiana era diventato un tormentone? Pensi all’ imbarazzo per
quello che usciva sui giornali. La storia delle olgettine, le gaffes con i
tedeschi, prima Schulz poi la Merkel… Eravamo bersaglio di una presa in giro
continua. Certo che c’era il pregiudizio, ma i fatti c’erano pure. Per cui a
volte, magari a teatro, preferivamo non parlare in italiano per non subire le
battute e le ironie dei vicini di fila”.
Così è partita la grande adunata. “Alessandra, Ersilia, Eva, Christina, Elvira,
Pina, Saskia, Rosetta, Erika, Elena, Annalisa, Mary, Simona…”. Chiara
incomincia a sgranare l’elenco delle più attive. Viene fermata, non possiamo
nominarle a decine. Ci tiene almeno che si sappia che ci sono anche degli
uomini che partecipano. Qualche marito, qualche figlio. O anche qualche padre.
Come il suo, il signor Tuccio, che un tardo pomeriggio si ascolta una arringa infiammata
contro le cosche calabresi che avanzano in Germania e poi candidamente confessa
di essere originario proprio di uno di quei paesi di ‘ndrangheta che sognano di
colonizzare il mondo. Nessun orgoglio ferito però; perché, in fondo, l’orgoglio
è quella figlia dall’accento milanese che per professione si occupa di problemi del personale, e intanto
si dà da fare per restituire smalto e decoro al suo paese. E che per questo con
le amiche invita scrittori e intellettuali dall’Italia, da Paolo Soriga a
Margherita Oggero, da Marisa Fenoglio a Giorgio Bernard. Il signor Tuccio è
davvero un bel tipo. Sbarca ogni tanto da Milano per partecipare agli eventi
più importanti. Gli danno il compito di fare le foto perché è bravo, ma poi ogni
tanto si appassiona ai temi caldi e si dimentica. In fondo, confessa, viene qui
per altro. Indica la sigaretta tra le
dita: “Lo vede? Fumo due pacchetti al giorno. Alla mia età mi può succedere
ogni cosa. Vengo per stare con mio nipote, che ha cinque anni. Vorrei che si
ricordasse del nonno”.
In questa bella comunità le storie si intrecciano. Città, regioni di provenienza che si mescolano per riscoprirsi tutti italiani, dice Federica, veronese che alleva i suoi due ragazzi nel borgo fiabesco di Kaiserswerth, davanti alle chiatte del lungoreno.
“Le più grandi soddisfazioni?” chiede Chiara. “Essere riusciti in un anno a organizzare tantissimi eventi nonostante le difficoltà e i cali di entusiasmo, le defezioni, il lavoro, le famiglie e tutto il resto. Ma soprattutto sentirsi dire dagli italiani: finalmente un’associazione italiana in cui mi riconosco. Desideri per il futuro, vuol sapere…Che l’entusiasmo non ci abbandoni, che ‘Italia Altrove’ nasca anche in altre città e diventi punto di riferimento per gli italiani che vengono qui, una piccola succursale d’Italia, crocevia di intellettuali, scrittori e artisti”.
Vasto programma, avrebbe detto De Gaulle. Aiutiamole a realizzarlo.
Nando
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