Giustizia. L’insuperabile bellezza dei calzini azzurri. E altre buone cose

Tra un’ora inizia a Scienze Politiche il grande
convegno sulla nuova didattica antimafia promosso da Libera per gli insegnanti “di
ogni ordine e grado”. Dobbiamo rispondere alla domanda più radicale: perché
dopo trent’anni e passa di educazione alla legalità il paese è più corrotto di
prima. Certo la scuola e l’università non possono sostituirsi alla tivù e alla
politica, e nemmeno (diciamo “nemmeno troppo”) alle famiglie. Ma qualcosa che
non funziona c’è. A partire dalla logica dell’ “evento”, di affidare tutto a
testimoni esterni, magari poco preparati o inclini a cercare l’applauso. “C’erano
mille studenti”: detto con orgoglio. Già, e che cosa hanno imparato? Come hanno
partecipato? Dentro che fatica si collocano quelle due ore di incontro con il
magistrato, il sacerdote, il sociologo, il giornalista, il familiare?
Deve fare la sua parte anche l’università con i suoi ricercatori. Martedì
abbiamo presentato in commissione antimafia il nostro secondo rapporto dell’Osservatorio
dell’Università di Milano. Una fatica lunga, e (credo) risultati importanti:
specie nel ribaltamento di stereotipi e nella valorizzazione di tendenze nuove.
Fondamentale riconoscere i mestieri umili e medio-bassi svolti formalmente dai
boss di ‘ndrangheta, anche quando abbiano in tasca i soldi del narcotraffico.
Altro che “manager”, ma “popolo nel popolo”.
In proposito, visto che anche la giustizia, oltre alla scuola e all’università,
deve fare il suo dovere, credo che la stampa non abbia capito il valore
fondamentale, storico, della sentenza della Cassazione nel processo Minotauro
(la ‘ndrangheta in Piemonte). Perché nonostante la incredibile richiesta di
disfare tutto il processo e rimandare in appello, avanzata dal procuratore generale Antonio Gialanella (certi nomi
bisognerebbe scolpirseli nella memoria quando si fa la storia di questo paese)
con la scusa classica del “difetto di motivazione”, la corte ha condannato. E ora sappiamo
definitivamente e finalmente per via giudiziaria che la ‘ndrangheta esiste
anche in Piemonte.
Onore a Gian Carlo Caselli e ai suoi magistrati per essere
arrivati a questo risultato. Alla facciazza di qualche deficiente (con il cervello
bevuto dalla disputa no tav) che lo accoglie scrivendo sui muri “Signor Caselli
baciamo le mani”. E alla facciazza dei magistrati che lì in Cassazione fanno
tanto ma tanto comodo. Tra questi non c’è il presidente della corte del
Minotauro, ovviamente. Sapete chi è? E’ Antonio Esposito, ossia quel magistrato
che le tivù di B. avevano seguito nella sua vita privata pretendendo di
delegittimarlo perché aveva “i calzini azzurri”. Qui il vostro Anfitrione
solennemente vi dice: che siano benedetti i calzini azzurri, portatori di
giustizia e democrazia…
E infine. Bravo Mattarella che prende il treno. Lo fa per apparenza? Ma questo
paese ha un infinito bisogno di gesti dimostrativi! Così la smettiamo di
raccontare che certi privilegi sono obbligatori, che io vorrei ma proprio non
posso farne a meno, me lo impone il questore, o il prefetto ecc. Alla prossima!
Ora vado.

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