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Bologna, 21 marzo. Così è stata la bellissima giornata di Libera
Scritto sul "Fatto Quotidiano" di ieri 22 marzo
Al
centro in prima fila ci sono i familiari del giudice Pietro Scaglione e
dell’agente di polizia Nino Agostino. Loro non mancano mai. Il 21 di marzo è
data “loro”, appuntamento fisso per rinnovare una domanda di giustizia. Il
manifesto che ritrae l’agente il giorno del matrimonio con la moglie, anche lei
vittima di assassini sconosciuti, è piazzato di fronte al palco. La piazza è
strapiena e continua ad affollarsi su tutti i lati, anche dall’altra parte di
via Indipendenza. Corrono e crescono le cifre. Cento, centocinquanta,
duecentomila persone. E forse lo sono davvero, dietro le bandiere gialle,
arancioni, viola, azzurre, di Libera, alcune che portano stampato il viso di
Lea Garofalo, la donna simbolo dei testimoni di giustizia. Sul palco Romano
Prodi sembra stupito, ammirato da quel popolo variopinto, zeppo di giovani e
giovanissimi; dirà durante la chiusura del pomeriggio che non esiste nulla del
genere in Europa, e su nessuna causa. La folla che cresce sembra abbracciare
per cerchi concentrici sempre più larghi il recinto dove siedono i familiari
delle vittime; sono loro il nucleo irriducibile del sentimento di giustizia su
cui Libera ha costruito in vent’anni un autentico nuovo pezzo di società
civile.
E’ soprattutto a loro che in piazza VIII agosto parla don Luigi Ciotti. E’ alla
loro approvazione che fa appello il leader di Libera quando, citando quel che
papa Francesco ha appena detto a Napoli (“la corruzione puzza”), denuncia un
parlamento veloce ad approvare la legge sulla responsabilità civile dei
magistrati ma terribilmente tardo e riluttante a fare le leggi che servono
contro il falso in bilancio, contro la prescrizione facile e soprattutto contro
la corruzione. La corruzione che spiana la strada alle mafie, tuona il prete
torinese. La corruzione che fa trovare alle mafie i comitati di accoglienza,
altro che infiltrazioni. La corruzione che fa ridere delle disgrazie della
gente, si tratti del terremoto dell’Aquila o di quello dell’Emilia. E’ a loro
che parla, denunciando chi vorrebbe cacciare i migranti dall’Italia “quando
bisognerebbe cacciare i mafiosi e i corrotti”. I familiari lo seguono d’impeto con
un applauso che sale come un’onda, e con loro applaude la piazza intera. Alla
fine applaudono anche le autorità sul palco.
Bisogna saperlo guardare il recinto dei familiari. Vent’anni sono passati dalla
prima manifestazione. Il tempo è passato segnando molti volti di rughe e imbiancando
senza pietà un popolo di centinaia e centinaia di persone che ancora al 70 per
cento è lì a chiedere verità e giustizia per i propri cari, come ha ricordato
Margherita Asta, una madre e due fratellini uccisi a Pizzolungo nell’aprile del
1985. Nel frattempo tanti nuovi parenti sono entrati in questo popolo. Perché
le mafie hanno ucciso ancora. Ma anche grazie a giovanissimi e giovani, figli
di vittime antiche giunti progressivamente all’età adulta o nipotini coscienti
della propria storia. Prolungamento di una domanda di giustizia che per la
prima volta non si ferma con l’uscita di scena di vedove o genitori.
Alla fine sono loro a manifestare solidarietà ai parenti dei desaparecidos
messicani, giunti qui con una delegazione. Sono loro a inalberare le lettere
scritte a una a una sui cartelli, componendo il messaggio da mandare in foto
dall’altra parte dell’oceano: “Somos Todos Ayotzinapa”. Per dire che il dolore
non ha frontiere. Come le mafie, purtroppo. Ma anche come la domanda di
giustizia.
Nando
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