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Che cosa leggono gli alieni. Diario di viaggio in metropolitana
Il Fatto Quotidiano, 19.4.15
La signora dal colore oliva si rannicchia sulla
maglietta rossa, tra mento e braccia si intravvede la prima parte di una
scritta, “I love”, con il classico cuore al posto del verbo. La metropolitana
macina stazioni ma lei resta nella stessa posizione, china sul suo cellulare.
Dialoga concitatamente in isolamento totale, altro che 41 bis. Accanto a lei
siede un ragazzo. Scarpe da ginnastica e maglietta bianca a maniche corte con
su un disegno stampato. E’ ripiegato sul suo cellulare, pigia pensieri o
informazioni, chissà. Il posto alla sua destra viene preso da un giovane uomo
evidentemente molto più freddoloso. Giacca e cravatta scure su pantaloni scuri,
ma anche soprabito nero attillato. Due mondi diversi. Con un punto di contatto,
inesorabile. Il signore tira fuori il cellulare. E fa andare su e giù il
display cercando ansiosamente notizie o c’è posta per te. Il dito va su e giù
per metri, chissà quante informazioni o quanta posta per lui. Alla mia sinistra
la fila di cellulari è infinita. Una ragazza ride, non al signore di fronte ma
al display, qualcuno le avrà fatto una battuta o ricordato un momento di
allegria.
C’è un signore a mezza via tra il ragazzo in maglietta e il giovane
soprabitato. Camicia e giacca senza cravatta. Compulsa il cellulare con occhio
cipiglioso e pigia come se a ogni tasto dovesse dare un colpo decisivo alle
sorti del mondo. Finché, miracolo, scorgo un signore sui quarantacinque. Con
una mano si tiene ai tubi di metallo, con l’altra impugna l’oggetto più
scandaloso in quel contesto. Un libro! Ha la copertina arancione, lo vedo di
sbieco perché il libro è voltato sulla pagina destra, certo per creare meno
impaccio. Vorrei essere Benigni in un film per battergli la mano sul collo e
fargli i complimenti. Mi trattengo. Spingo lo sguardo per scorgere almeno il
titolo, mi interessa capire che cosa leggano i nuovi alieni. Non ci riesco.
Scendo. La prossima volta vorrò sapere il titolo, accidenti.
Nuovo viaggio. Stavolta c’è una batteria di ragazze tutte affaccendate sui loro
cellulari. Una che indossa quei jeans che hanno più buchi che stoffa sfoglia
golosamente foto che sembrano di gruppo; su e giù, giù e su, com’è giusto. E
com’è giusto non curioso. Improvvisamente scorgo una signora con un libro. Dico
improvvisamente perché pare che in questa umanità transumante chi ha il
cellulare faccia di tutto per farsi sentire mentre chi ha un libro si
rannicchi, cerchi di mimetizzarsi. E’ sui quaranta, la signora, tiene raccolti i
capelli dietro la nuca. Si libera il posto accanto e mi ci fiondo, senza
nemmeno guardare se ci sono invalidi nei dintorni. Voglio vedere il titolo. Ma non
ci riesco. La proprietaria maneggia il libro in modo tale che si veda sempre e
solo la quarta di copertina. Sembra proteggere il suo segreto. La mia vista da
vicino non funziona abbastanza per scorgere eventualmente la piccola scritta in
corsivo in testa alle pagine. Lei si accorge della curiosità e si fa
sospettosa. Arriva la sua fermata. Ecco, ora chiuderà il libro, penso, e
finalmente ci sarà la Rivelazione. Nemmeno per idea. Lo richiude con la
copertina rigorosamente appoggiata alla pancia e così, in quella posizione,
infila l’oggetto misterioso dentro la borsa. Puff, ecco come si uccide una
speranza.
Altro viaggio. Tra le file di indaffarati in adorazione dell’oggetto sacro c’è
un tale, cravatta e occhiali, faccia da agente di borsa, con auricolari
incorporati e ben due cellulari che egli maneggia con maestria, un po’ come i
giocolieri che lanciano birilli in aria davanti ai semafori. Accanto a lui una
giovane donna bella ed elegante pigia i pulsanti con movenze da indossatrice.
Usa solo il medio, con levità celestiale. Quand’ecco arriva una signora giovane
con camicia a pois. E’ incinta e tiene un libro in mano. Si siede. Mi avvicino
discretamente. Niente, sembra Leggo solo il verbo “realizzare” o qualcosa del
genere in copertina. Poi l’oggetto viene messo orizzontalmente in grembo e da
lì non si schioda.
Vorrei di nuovo essere Benigni in un film e chiedere “Bello
questo libro?”, ma l’idea di una risposta poco gentile (anche le donne incinte
possono arrabbiarsi…) mi trattiene. A distanza di rispetto indovino dei
disegnini sulle pagine. Forse, visto anche il titolo, è un manuale per future
mamme. Lo immagino e mi intenerisco. Ma non c’è verso di poterlo appurare.
Anche perché la signora infila il libro nella borsa dopo due sole fermate, poi
controlla (tre secondi) il cellulare e pensa alle cose sue.
Io penso a quanto sono lontani i tempi in cui i lettori in metropolitana esibivano “Il nome della rosa”, “Va’ dove ti porta il cuore” o anche “Gomorra”. Ora l’adorazione del nuovo tabù ha creato sconosciuti e inconfessabili pudori. Il tempo di fare queste riflessioni sconvenienti e sento un rumore. Un giovanotto urta contro la porta per tenerla aperta, si è accorto in ritardo della fermata. Ha un libro in mano, ci si era distratto sopra. Mi avvicino alla porta. Ma già cammina, con il titolo chiuso dal lato delle gambe. Come ordinavano le nonne, “non mostrate le vostre vergogne”.
Nando
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