Te la do io l’educazione. La lezione dei ventenni

Il Fatto Quotidiano, 10.5.15

Questa
è la cronaca di un gioioso esperimento sociale. Metti in una stanza una
trentina di giovani dai venti ai ventitré anni, e prova a chieder loro a che
cosa dovrebbe educarsi un popolo. Perché d’accordo: education, education,
education. Magnifico. Educazione alla legalità. Bellissimo, edificante. Ma perché
in Italia si educa alla legalità da decenni e l’illegalità dilaga “senza limiti
e confini” (copyright Mogol-Battisti)? Ditelo, ragazzi, a che cosa dovremmo
educarci davvero per avere il paese che vogliamo? I giovani presenti, tutti
desiderosi di un paese legale, anche se forse ne hanno idee diverse, si
scatenano. Nel crescendo di mani alzate, è difficile star dietro alle loro
proposte. Che fanno pensare. E spesso graffiano.
Educare alla moralità, pensiamo a Quintiliano. O all’umanità, pensiamo a
Beccaria. Passano i minuti e si moltiplicano finalità educative impreviste; che
si raggruppano, si intrecciano, disegnano uno stato d’animo, arrivano alla
profondità delle cose. Educare alla lotta, dice Hermes. Educare alla verità,
dice Francesco. Educare a non aver paura, aggiunge Fabio. E alla trasgressione,
Giorgio. Educare alla disobbedienza culturale. Altra mano alzata: alla capacità
critica. Precisazione da un’altra mano: alla capacità critica per contrastare
un nemico che sta dall’altra parte e vuole dominarci. Tra loro non ci sono
“antagonisti”, o almeno non mi sembra. Ma sono in tanti a pensare che per
costruire la legalità si debba essere educati a qualcos’altro. Alla lotta, a
non aver paura, al pensiero critico, alla trasgressione, alla disobbedienza,
alla verità… Risuonano echi di altre discussioni, da don Milani a Pasolini.

Come dire che la legalità è una conquista, che non ti arriva per grazia
ricevuta e nemmeno perché le istituzioni ci credono. Che devi amare la verità
ed essere disposto a batterti per farla vincere. Che c’è un intero sistema di
convenzioni e di ipocrisie (tutte turibolanti alla legalità, naturalmente) che impone
alla società una cappa di conformismo a cui proprio non ti puoi adeguare, se
vuoi che il paese diventi più civile. Già il Paese…Educare a “un patriottismo
sano”, chiede Arianna. Come a dire che si dovrebbe volere bene al proprio paese,
altrimenti non si è disposti a battersi per renderlo più libero. Sembra una
critica a chi dovrebbe parlare e non lo fa. Perché non ha coraggio, perché
mette il suo pensiero dietro alle convenienze. Mentre il pensiero critico
sarebbe prezioso. Per questo ancora Hermes interviene a dire che occorrerebbe
educare prima di tutto al “semplice” pensiero, cioè a “far precedere il
pensiero alla parola”.
Chissà quanto pesa su questa rappresentazione l’immagine dell’Italia di oggi,
le sue secchiate di conformismo, l’incapacità di giornali e parlamento di dire
“qualcosa di vero”, non “di sinistra”, e di “fare” oltre a “dire”. In fondo è
questa l’Italia che si staglia davanti a chi si è affacciato da poco alla
maggiore età.
Sta di fatto che le loro voci sembrano evocare un contrasto esistenziale tra la
società che vorrebbero e quella in cui sono immersi. Educare alla felicità,
dice Ilaria. Educare alla vita, contro chi te la ruba, dice Andrea. Torna
l’esistenza del nemico, di chi ti toglie opportunità. Ma c’è anche il nemico
impersonale, l’ideologia corrente. Ora vista come sguaiatezza, eccesso, assenza
di senso. Educare alla felicità, appunto. Ma anche al divertimento, dice
un’altra Arianna. E pure alla giusta misura. Educare alla bellezza, interviene
Letizia. E non solo la bellezza del celebre dialogo di Peppino Impastato nei “Cento
passi”, ma “anche la bellezza interiore”. Già, in effetti, come fa il corrotto,
come fa il camorrista a sentirsi bello interiormente? E come fa a sentirsi tale
il codardo, chi piega la schiena per ambizione personale? Così subito dopo
arriva Silvia: educazione alla dignità della persona! E Marco: educazione alla
testimonianza.



Ormai è una corsa. Le associazioni mentali scattano come molle. Educazione all’affettività. E anche alla sessualità, perché pure la maleducazione sessuale produce prepotenza. Finché di colpo Francesco sorprende tutti: educazione al rispetto dei ruoli. Accidenti -ci si guarda un attimo-, come può coesistere questa richiesta con quella di contrastare il conformismo? Il fatto è che Francesco pensa a un mondo dove non ci si sa prendere le responsabilità del ruolo; e dove le distinzioni dei ruoli saltano, e il potere si controlla da solo, sicché è proprio il conformismo il frutto supremo di questa trasgressione. E infatti: educazione all’informazione, suggerisce subito Laura. Sì, ma anche a distinguere le informazioni, precisa Sharon. All’individualità. Alla socialità. Al ricordo. Le famiglie di parole e di aspirazioni si ingrandiscono, si richiamano. Spiegano che l’educazione di un paese alla legalità è cosa complessa, che non basta dire che occorre pagare il biglietto del tram o commuoversi alla testimonianza di una vittima di mafia. E infatti: rieducare alla legalità, suggerisce alla fine Luca. Ovvero, come avrebbe detto Gino Bartali, campione generoso, “è tutto da rifare”. Ma forse, più ottimisticamente, si può ricominciare da tre.

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