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Matteo il condottiero. Quelli che non hanno fatto il militare
Festa della Repubblica, festa che accomuna e Dio sa se ce n’è
bisogno. Continuo a pensare che lo spettacolo post-elettorale a cui stiamo
assistendo confermi quel che insegno in Gestione comunicazione di impresa
quando affrontiamo il capitolo della comunicazione di crisi (per capirsi:
quella che obbliga ogni tanto Ilva a spiegare i tumori a Taranto o Adidas
perché fa fare i palloni dai bambini del terzo mondo asiatico…),ovvero che a una
cattiva gestione segue sempre una cattiva comunicazione.
E non è solo un problema di gruppi dirigenti; anche il popolo di partito non
scherza. Difendevano B. quando disonorava l’Italia nel mondo (“lui almeno va
con le donne”). Andavano in sollucchero quando Cossiga picconava le istituzioni
(“hai visto come gliele canta chiare?”) o quando Andreotti si faceva beffe
pubblicamente delle vittime di mafia (“quant’è spiritoso!”). Difendevano Bossi come
rappresentante del nord produttivo quando era il perfetto esemplare del nullafacente
a vita. Avevano difeso perfino i carri armati di Budapest o di Praga. Quant’è
brutta la gente, diceva Eduardo. E questo sospetto ogni tanto viene anche a me,
che pure cerco di raccontare nei miei articoli sul Fatto tutti i gesti, i
volti, le piccole e grandi passioni e gentilezze che danno senso alla vita.
Ora si scopre che il Renzi in divisa non ha fatto il militare. Lo so che agli
italiani, che in fondo sono antimilitaristi, non gliene frega niente. Ma vedete,
se c’è qualcosa che lega indissolubilmente Renzi ai suoi predecessori, e ne fa uno
come gli altri, è proprio questo. Perché se la gente deve denunciare i privilegi
del politico pensa subito all’appannaggio parlamentare. E invece c’è (c’è
stato) un privilegio ancora più esclusivo, che lega e unifica tutti (o quasi) i
leader politici degli scorsi decenni: non essere andati militari a differenza
dei loro coetanei. Avere battuto la strada del privilegio sin da piccoli, non
come compenso per una funzione pubblica, ma come riconoscimento di uno status privato. Non lo fece Cossiga, non lo
fece Spadolini, non l’ha fatto Berlusconi, e nemmeno D’Alema o Veltroni. Ma a
Cossiga piaceva da matti travestirsi e farsi fotografare vestito da ammiraglio,
e anzi grazie a un cavillo si fece nominare capitano di corvetta da Gronchi e
poi capitano di fregata da Giovanni Leone. Spadolini che se l’era scapolata
(insufficienza toracica?) andava pazzo per giocare ai soldatini con l’esercito.
Non parliamo di B., “l’uomo che portò il paese in guerra senza avere fatto il
servizio militare”, come brillantemente il vostro Anfitrione sottotitolò un suo
fortunato libro. Anche D’Alema fece della guerra in Kossovo la prova del nove
della sua qualità di statista. Bello comandare i militari dopo essersi fatti
esonerare. Alla faccia della Costituzione. Già. Sentite cosa scrissero quei
poveri costituenti (articolo 52, primo e secondo comma): “La difesa della Patria
è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e
modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di
lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici”. W la Repubblica!
Nando
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