Un ex sindaco al lavoro, tra libri e sedie da spostare (e un’amarezza in gola)

Dal 17 al 21 si è tenuto il terzo festival della saggistica di Fano, di cui il vostro Anfitrione è presidente. Questo articolo è stato scritto nel pieno delle fatiche letterarie, di cui vi dirò. Ed è uscito sul Fatto del 21 giugno.


Accidenti che storie escono, quando
incominci a scavare. Avrei voluto parlarvi di un ex sindaco che dopo tanti anni
dal suo ultimo mandato ancora lavora gratis per la sua città. E invece son qui
a raccontarvi di un uomo innamorato della politica ma che per colpa della
politica può cercare rifugio in un fazzoletto a sessant’anni suonati. Si chiama
Cesare Carnaroli, ed è stato il sindaco di Fano dal 1995 al 2004. Nato a Monte
Porzio in provincia di Pesaro nel ’51 da un falegname e da una barista, ha
preso il nome dal nonno: un muratore “di quelli bravi” costretto a emigrare in
America perché senza lavoro. Aveva la colpa di essere repubblicano e
anticlericale nei possedimenti del conte di Montevecchio, sindaco di Fano un
secolo prima che venisse eletto proprio il nipote del muratore sovversivo.
Insomma, una storia familiare che ha lasciato il segno in questo signore con
occhiali e pizzetto grigio, lo sguardo che alterna lampi beffardi a echi di
commozione.

Comunista, dunque, il Cesare Carnaroli. E questo lo si sarà capito. Arruolato
nella segreteria provinciale del suo partito a Pesaro già a 22 anni. Giunto
giovanissimo a Fano mentre studia scienze politiche all’università di Urbino,
dipendente Erap (Ente regionale delle abitazioni popolari), una carriera da consigliere
e poi da assessore comunale in una delle terre tradizionalmente più a sinistra
della penisola. Fino al grande salto a sindaco. “Ma per sbaglio. Allora c’era
un accordo di ferro tra comunisti e socialisti. Pesaro e Urbino toccavano al
Pci, che lì superava il 50 per cento dei voti. Fano, dove pure prendevamo il
40, andava ai socialisti, insieme alla presidenza della provincia. Solo che
agli inizi degli anni novanta saltò tutto con Tangentopoli e diventai sindaco
io, comunista nativo di Monte Porzio. E’ stata una grande esperienza. Ricordo
con orgoglio soprattutto due cose. La prima è che raddoppiammo il porto. Una
legge regionale aveva stanziato 25 miliardi per opere portuali. Solo che noi
fummo gli unici a presentare un progetto e quindi prendemmo tutti i fondi,
riuscendo a cambiar faccia a una infrastruttura fondamentale della città. La
seconda è che riaprimmo il teatro della Fortuna. Era chiuso dai tempi della
guerra, con il tetto sfondato dalla cima del campanile tirata giù dai tedeschi.
Sì, i tedeschi in ritirata avevano abbattuto tutti e cinque i campanili di Fano
per renderli inservibili come vedette. Quando fui eletto misi fine alla
rincorsa disordinata delle emergenze e decisi di fare le opere necessarie alla
vita della città. Il teatro riaprì e raddoppiammo le spese in cultura, pensi
che venne anche per due stagioni Dario Fo a fare il suo carnevale”.

La passione per la cultura. Quella gli è rimasta appiccicata addosso. Tanto che
l’ex sindaco si è preso una settimana di ferie per star dietro all’organizzazione
del festival della saggistica che chiude oggi a Fano, “Passaggi Festival” si
chiama, giunto alla sua terza edizione e di cui è stato tra i fondatori. Così
che tra autori e giornalisti e ministri lo potete vedere che consulta orari e
previsioni del tempo, accogliendo ospiti o spostando sedie, mentre qualche
gentiluomo locale ancora lo appella “Buongiorno sindaco”. “Perché lo faccio?
Per la mia città, mica per ragioni politiche. La prima edizione l’abbiamo fatta
quando c’era ancora il centrodestra, d’altronde. Poi un po’, lo confesso, anche
per questa rivalità con Pesaro, dove sono abituati a vederci come figli di un
dio minore. E infine perché ho sempre creduto che questa città vada
sprovincializzata, indotta a non pensare solo al bel tempo andato, ma ad
aprirsi”. L’ex sindaco si aggira e sorveglia i dettagli nel chiostro, sulla
piazzetta, nell’ufficio, da volontario qualsiasi. Si gode la gente che arriva,
ha ancora in mente la lectio magistralis di Sergio Zavoli, che venne qui due
anni fa, apprezza gli incontri sui movimenti politici o sulla mafia, ce ne sono
diversi.

Felice, certo. Eppure grattando nei ricordi a un tavolino gli si può incrinare la voce. Gli diedero la colpa della vittoria del centrodestra, racconta. Misero un candidato debole dopo il suo secondo mandato, lui eccepì, ma quelli erano gli accordi, non più con i socialisti ma con la Margherita. Divenne il parafulmine della sconfitta. Colpa sua, tutta sua. “Non si ha idea di che cosa siano stati capaci di dire. Dicevano anche che mi ero fatto una villa, quasi quasi venne il dubbio perfino a mia madre, Cesare, dì la verità, ma tu hai una villa? E lo sa che fecero? Nel 2009 promossero una consultazione per scegliere i candidati alle regionali. Io presi a Fano il 65 per cento. Ma l’allora segretario provinciale mi disse secco ‘Tutto puoi chiedermi tranne un posto nelle istituzioni’. Ma che avevo fatto, avevo rubato, mi ero arricchito? Sono una persona onesta. La mia è una storia che inizia con un nonno muratore che non si è venduto al conte…”. Ecco. Qui lo sguardo ironico scompare. Si fa memoria che sconfina nell’Ottocento, sofferenza, calunnia che ancora offende. Ma l ’ex sindaco non ama esibire occhi appannati. Un colpo di fazzoletto e si alza di scatto. Forse stasera non piove, lasciamo le sedie dentro il chiostro.

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