Marco, il nuovo volto di Ostia pulita

 

Il Fatto Quotidiano, 1.8.15

Ci sono quelli che per una gran
botta, diciamo così, di fortuna si ritrovano a governare il paese appena dopo i
trent’anni. E ci sono quelli che, senza botte di fortuna e “mettendoci la
faccia” per davvero, più o meno alla stessa età cercano di cambiarlo. Partendo
dai suoi luoghi più a rischio. Marco Genovese è uno di questi. A ventinove anni
è già un capitano di lungo corso delle battaglie per la legalità nel famigerato
X Municipio di Roma: Ostia, metafora spietata di Mafia Capitale. Fisico
asciutto e non palestrato, figlio di un medico e di una professoressa di educazione
fisica, Marco non ci ha messo molto a schierarsi. Da studente liceale si prese
una cotta per l’antimafia, passione proibita in una città aperta a
narcotrafficanti e picchiatori, corrotti e riciclatori, ma diffidente verso
chiunque parli di legalità, chieda scontrini fiscali o invochi le leggi dello
Stato per arrivare al mare senza pagar pedaggi.

Dice un signore in divisa che quella di Marco è una presenza non vistosa ma
incombente. E probabilmente è vero. Gli studenti milanesi che sono venuti qui
con la loro università itinerante per capire Mafia Capitale lo vedono poco, tra
cellulare, spostamenti, urgenze logistiche; ma poi capiscono che c’è perché
tutto fila secondo i piani previsti. E’ riuscito anche a trovar loro da dormire
in una scuola media di uno dei quartieri più popolosi. Marco c’è, e Marco sa.
Racconta e spiega la storia di questa città dove i ragazzi come lui si sono
sentiti degli estranei rispetto al mondo delle istituzioni e degli affari,
rispetto al grande business dei lidi balneari, o ai luoghi del divertimento. Se
ha avuto dei maestri? Certo, e uno ne ha avuto sopra tutti, e chiede di citarlo
mentre lo sguardo si addolcisce al ricordo: il suo prof di storia e filosofia.
“Lo scriva che si chiamava Raffaele Romano, soprannominato Lello”. Era lui l’insegnante
amatissimo che trasmetteva ai ragazzi del liceo scientifico “Antonio Labriola” l’amore
per l’impegno sociale e per la legalità; lui che arrivava a scuola su una panda
scassata e se ne andò via per un tumore, dopo avere ben seminato per le nuove
generazioni.

Marco tiene insieme, Marco prende iniziative pubbliche, Marco fa comunicati.
Recentemente è diventato anche referente provinciale di Libera e ha tirato su
uno dei gruppi più giovani dell’associazione a livello nazionale, roba che
allarga il cuore alla vista. Gli universitari milanesi incontrano testimoni, fanno
interviste, organizzano seminari. E ogni volta si rendono contro della stima
che circonda il loro giovane ospite. Lo stima Alfonso Sabella, l’assessore alla
legalità di Ignazio Marino che qui sta facendo da commissario dopo che
l’amministrazione locale è finita nelle inchieste a partire dal presidente del
Municipio, uomo Pd. Lo stimano le forze dell’ordine che sanno che è da
cittadini come Marco che può venire il riscatto sociale dopo le inchieste e le
condanne. Lo stimano gli imprenditori puliti intolleranti delle famiglie che
hanno spadroneggiato impunite per anni lunghissimi (“magari si mettesse in
politica”, dice uno di loro). Lo stima don Franco, che lo ha visto impegnarsi
in ogni forma con la sua parrocchia di Santa Monica. Lo stimano gli insegnanti
che tra edifici degradati e famiglie minacciose cercano di costruire una nuova
idea di convivenza civile. “In effetti”, dice lui, “una delle cose migliori che
abbiamo fatto è stato il lavoro educativo nelle scuole. Lo abbiamo fatto con
dedizione e i risultati si sono visti”.

Lo stesso amministratore giudiziario si è rivolto a lui lo scorso anno quando è
stato sequestrato il “Faber Beach”, proprietà di un signore imputato di far da
prestanome al clan Fasciani. “E’ stata la prima sfida per riprenderci il mare.
Ci facemmo cultura, vennero registi e scrittori da maggio ad agosto, chissà da
quanto non accadeva a Ostia”, racconta, e capisci che più che un ribelle
solitario hai davanti l’interprete di un mondo sempre più grande, che guarda a
Ostia da Palermo a Milano.

Il suo più grande orgoglio? “Avere rotto sei-sette anni fa la cappa del
silenzio. Quando gli arresti colpivano i clan locali i politici stavano tutti
zitti e muti, facevano finta di niente. Noi invece abbiamo condotto in tutto
questo tempo campagne di informazione. E quando è arrivata l’ora del processo
ai Fasciani, da poco condannati  in primo
grado, ci siamo costituiti parte civile, partecipando alle udienze ogni volta con
decine di studenti”. Chi ha fatto qualcosa del genere tra i giovani al governo
del Paese alzi la mano. 

 

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