Giorgio, lo chef alieno che si scusa col cliente

 

Il suo idolo è Gualtiero Marchesi.
Anche se il libro-cult del maestro, "Oltre il fornello", ancora non
l’ha letto tutto. Giorgio Bellone ha 38 anni e una bella faccia che sa di Gigi
Proietti giovane. Giunge felpato a un tavolo del giovane ristorantino di Catanzaro
Lido scusandosi con gli avventori. Le linguine con gamberi e zucchine arrivate
dalle sue mani non erano abbastanza buone, chissà che cosa è successo nella
temperatura. Gli avventori si guardano in faccia e replicano: veramente erano
squisite, forse si sbaglia. No, continua lo chef con l’aria rammaricata,
qualcosa non ha funzionato nella temperatura. Scusatemi.
Siparietto imperdibile. Di solito il cliente protesta, il cuoco nega, giura che
il piatto si cucina proprio così, lo dice pure Gualtiero Marchesi, e se proprio
deve cedere dà la colpa a qualcun altro. Ai clienti incuriositi lo chef alieno
spiega allora la sua storia. Che non è trascendentale affatto ma è molto
quotidiana, e scava nella crisi del paese, spiegando come le persone normali
cercano di starci. Perché Giorgio non ha studiato in un istituto alberghiero e
non ha mai sognato da giovane di diventare un re della gastronomia. Figlio di
una famiglia borghese beneventana, di un’imprenditore di successo nella
produzione di mezzi di trasporto, aveva il destino segnato. Economia aziendale
alla Federico II per ereditare l’azienda paterna.
Dopo la laurea, il posto da
dirigente nell’impresa. Che è florida fino al 2008, poi viene investita in
pieno dalla crisi. Ed è a ridosso della svolta che Giorgio inizia a
interrogarsi sul suo futuro. Riscoprendo quel talento innato che ai fornelli
gli aveva fatto fare bella figura negli anni dell’università. "A parte la
pizza, che mangerei sempre, ho una passione grande: la cucina della costiera
napoletana o sorrentina, la fritturina di paranza o la frittella dei
cicinielli, che poi sono i bianchetti, le polpette o gli involtini di
melanzane, la parmigiana, i peperoni ripieni con la mollica gratinata, pasta e
patate con la scorza del parmigiano che si lascia a cottura…o i fiori di
zucca in pastella con ripieno di ricotta e intingolo di pesto al
basilico…". Giorgio l’alieno snocciola i suoi piatti come fossero
gioielli, e già lo sguardo di sogno con cui accompagna l’elenco prezioso spiega che cosa sia per lui la cucina. Arte
delicata, testimone di civiltà.
"Ho fatto un corso di tecnica di base a Colorno, vicino Parma, quattro
anni fa, ma non fu una cosa distensiva, trovai tutto un po’ sopra le righe. No,
non ho ancora un attestato formale di cuoco. Ma ci sto investendo tutto. Perché
un cuoco bravo può viaggiare e avere successo subito in tutto il mondo, un
avvocato o un professionista no, se la crisi colpisce deve ricostruire le sue
relazioni. Io vorrei portare in giro il fiore all’occhiello del paese, massì, diciamo
pure il made in Italy". Nell’attesa di diventare "bravo" Giorgio
gira per imparare, va a lavorare a Massa Lubrense, penisola di Sorrento
("lì ho imparato le conoscenze basiche sul pesce"), o a Vibo
Valentia; o anche a Roma ("lì ho
imparato a lavorare sui carciofi") o Milano. Ristoranti piccoli e grandi,
con clientele medie o d’élite, "sono stato in un bel ristorante al
Pantheon, ma solo per due settimane, peccato, mi sarebbe piaciuto imparare bene
la pasticceria, la catalana col gelato alla cipolla. Ora sono con questi
giovani calabresi del ‘Fabric’, ma me ne andrò. Se resti troppo fermo non vai
avanti".
Il viaggio alla ricerca della bravura o, come si dice, dell’eccellenza, durerà
ancora. Qualche decina di euro a sera, la difficoltà di essere preso indicando
quella residenza, Benevento, che nelle città lontane fa spesso scattare il
pregiudizio: questo non viene, oppure non resiste. Per fortuna un po’ lo aiuta
la famiglia "e in questo senso sono un po’ un bamboccione" commenta
con pudore Giorgio, che ammette di pensare ogni tanto "all’azienda che mi
sarebbe piaciuta", a che cosa avrebbe potuto fare in più per sentirsi
"in complicità" col padre. "Però ora voglio andare fino in
fondo. Anche se è un lavoro né facile né comodo: in cucina la tensione è sempre
in agguato, e ai fornelli la schiena ti fa male".
"In che tipo di ristoranti? Non c’è regola, quelli da piatti prelibati o
da stuzzichino e piatto unico. Certo, a chi non piacerebbero Capri o la
Sardegna? O il Salento, magari. Ma io a cinquant’anni mi vedo all’estero,
magari un mio ristorante perché mi piace l’indipendenza, in un paese che non ti
uccide di tasse e di burocrazia. Poi se non ce la faccio mi adatto a qualsiasi
cosa. Per sfondare mi do un paio d’anni. Ogni tanto mi prende l’ansia: e se non
ci riesco? Ma alla fine mi dico che mi aiuterà ‘l’amore per il cliente’ di
Gualtiero Marchesi". Già. Quello che porta a scusarsi di propria
iniziativa ai tavoli se le linguine erano da 9 e non da 10.

 

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