Monica a Dublino. Cervelli in fuga anche sulla legalità (scritto sul “Fatto” del 22 agosto)

 

E così l’hanno presa a
Dublino. Per l’antiriciclaggio, alla Citybank. La storia di Monica Angelini è
l’ennesima spia della malattia italiana. Di questa condanna biblica a produrre
intelligenze per gli altri e non per noi. Monica, trent’anni appena fatti, è atterrata
in Irlanda da Milano ai primi di maggio. E si è già appassionata al paese che
la ospita. Le piacciono l’abitudine a non perdere tempo sul posto di lavoro fingendo
di faticare (“qui chi resta fino a tardi in ufficio viene visto come un
inefficiente, gli straordinari non esistono, per questo qualche volta arrivo
prima”), la possibilità di coltivarsi, la bellezza del trovar musica ovunque, i
menestrelli di Grafton Street e le ballate dei pub, e i celebri “cieli
d’Irlanda”. E anche la generosità di un “brava”, di una pacca sulle spalle
quando hai fatto bene il tuo lavoro, “in Italia non usa e invece è importante”.

Il suo compito? Monitorare dal dipartimento in cui è stata assunta a tempo
determinato (“ma spero molto di essere confermata”) i rischi di riciclaggio da
parte dei clienti e dei potenziali clienti della banca. Scientificamente. Sulla
base di parametri che tiene rigorosamente per sé. Per tutta l’Europa
occidentale, un capitalismo finanziario tra i più sofisticati, che ospita e da
cui partono le manovre più ardite e complici con la criminalità organizzata.
Monica ha studiato Relazioni internazionali, e da giovane ricercatrice ha
dedicato prima le sue attenzioni al narcotraffico messicano poi al contrabbando
dei tabacchi. Fa parte di quella generazione che si è formata al nord rifiutando
la tiritera della mafia che non esistente e anzi reclamando ovunque un’etica
professionale a prova di mafia. “E oggi questo mi aiuta, mi dà un incentivo in
più. Perché io questo lavoro non lo faccio come un’impiegata, ma proprio per
contribuire a un’economia più pulita, per chiudere i varchi al crimine, per
prevenire al livello grande il malaffare”.

Combattiva, è combattiva. Anche se
il colore e la foggia dei capelli evocano immagini di corti viennesi, Monica è
una che sa battersi sul campo. Compreso quello di calcio, racconta con orgoglio
ai suoi interlocutori sapendo di stupirli. Eccola dunque nelle foto predilette
mentre gioca con la maglia biancorossa dell’Atletico Milano, poi diventata
Milan Ladies con maglia rossonera. Undici anni di agonismo calcistico da
terzino. “Le avversarie mi temevano perché picchiavo, ma senza cattiveria. Un
giorno che per colpa mia un’attaccante si è rotta il naso sono scoppiata a
piangere e poi durante la settimana ho atteso in aula, in università, il
responso medico al cellulare”. Le avevano anche proposto il Milan femminile in serie
A2 ma non c’è stata storia, ha preferito laurearsi.

 

Una così, che ama tuffarsi da quindici metri, non ci ha messo molto per decidere di venire a Dublino. Quando l’agenzia incaricata della preselezione le ha chiesto quanto ci avrebbe messo ad arrivare se fosse stata scelta, ha risposto venti giorni. Quindici di preavviso e cinque per trasferirsi. “L’Italia? Ho imparato molto. E cerco di mettere a frutto quel che mi ha fatto male. Dove lavoravo prima, un centro di ricerca universitario, mi sentivo sottovalutata, talvolta maltrattata. Ma questo mi ha spinto a dare sempre il massimo. Ora ho i miei sogni. Vorrei specializzarmi, diventare brava davvero e far carriera, così da passare alla fase della produzione delle regole antiriciclaggio, e definire le norme e gli strumenti da applicare in banca. L’unica cosa che mi manca è la mia famiglia, i miei genitori. Vorrei esser loro d’appoggio. Quando ho comunicato a mia madre che venivo qui mi ha detto: non so se essere felice”.
Quel che non manca certo a Monica è l’amicizia. Perché per un pirotecnico gioco del destino ha trovato nel grande dipartimento dublinese proprio l’amica del cuore di scuola e università. “Abbiamo sempre studiato insieme. Lo scriva bene il nome, perché ci tiene: Amina Attia El Tabakh. Con lei abbiamo ricomposto un tandem fantastico”. Già, un tandem di analiste antiriciclaggio. Entusiaste, competenti. All’estero. Chiamate una dopo l’altra da una delle maggiori banche al mondo. L’Italia del riciclaggio dei capitali mafiosi, dei paradisi fiscali e delle truffe finanziarie, non ne ha avuto bisogno. Chissà che i parametri di Amina e Monica, difensore da scintille contro il crimine organizzato, non potessero risultare troppo esigenti. Anche senza conoscerli, ma perché di certi talenti non sappiamo proprio che farcene. Colpa dello spread.

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