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Perizie psichiatriche, processi di mafia e doverose precisazioni
Sulla questione degli arresti domiciliari concessi al boss Giulio Lampada ho ricevuto questa lettera da parte dell’avvocato Carlo Melzi d’Eril per conto dei magistrati del collegio giudicante che li ha concessi. La pubblico volentieri con la mia risposta.
“Gentile
professore,
si
sono rivolti a me i componenti del collegio del tribunale della libertà di
Milano, presidente Paolo Micara, giudici Luisa Savoia, Valeria Alonge, in
relazione ad un articolo a sua firma del 4 giugno 2015 dal titolo La ridicola libertà del boss Lampada nel
quale lei ha criticato il provvedimento con il quale il collegio, in seguito a
numerose perizie che ne attestavano lo stato di salute incompatibile con la
detenzione, disponeva gli arresti domiciliari per un imputato di vari delitti,
tra cui l’associazione a delinquere di stampo mafioso.
I
tre magistrati lamentano che all’interno del pezzo vi siano espressioni che
ledono la loro reputazione. In più di un passaggio del testo emerge un
messaggio, come potrà ben comprendere, assai offensivo, e falso, ovvero che la
decisione oggetto della sua critica sia originata o da una certa qual timidezza
da parte dei giudici o, peggio, da corruzione o, fin anche, collusione con il
fenomeno della criminalità organizzata. Il messaggio risulta ancora più lesivo
poiché in un processo diverso rispetto a quello in cui è stata emessa
l’ordinanza in questione, ma nato dalla stessa vicenda, un magistrato è stato
condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.
Se
questo non era il suo pensiero, a nome dei miei assistiti, sono a chiederle di
precisarlo.
Con
i migliori saluti,
avv.
Carlo Melzi d’Eril”
Gentile avvocato,
non posso negare di avere scritto un articolo molto
duro sull’ordinanza emessa dal Tribunale della libertà di Milano il 29 maggio
2015 che ha concesso gli arresti domiciliari a Giulio Lampada.
Più precisamente, a proposito del provvedimento
parlavo di «drammatica comicità» e di una giustizia che si è «prontamente
inchinata» a una «incredibile perizia». Ricordavo poi, appunto, che «la Mafia
ha sempre potuto contare su medici e psichiatri che, per soldi, dottrina o
misericordia, hanno accertato che il boss affidato al loro giudizio fosse
incompatibile col carcere», menzionando alcuni casi clamorosi di false consulenze
e perizie che hanno consentito l’impunità o la commissione di altri crimini
efferati.
Ritenevo «naturale», quindi, in relazione al caso “Lampada” chiedermi «quali giudici e quale loro dottrina dobbiamo ringraziare, leggendo motivazioni di un provvedimento che suonano offesa per chiunque abbia subito la violenza mafiosa». Chiedevo di conoscere il nome di questi giudici «per dare un senso a questa storia maledetta senza fine». Ammettevo che in questo caso ci si trova «davanti solo a diversità di opinioni», ma avvertivo che «dietro c’è il disagio di chi sa che la vicenda dei Lampada è stata zeppa, ma proprio zeppa, di giudici, avvocati e finanzieri accusati e in qualche caso condannati per corruzione». Infine mi auguravo che il CSM e il ministro non sarebbero stati «a guardare», invocando una nuova perizia. Lamentavo alla fine il rischio che la Lombardia, «tra Cassazione e magistrature giudicanti» fosse «condannata a diventare la Sicilia degli Anni Settanta».
Torno ora in argomento per una precisazione: nel pezzo non avevo alcuna intenzione di affermare che i membri del collegio che ha emesso il provvedimento, presidente Paolo Micara e giudici Luisa Savoia e Valeria Alonge, fossero in qualche modo collusi con il fenomeno mafioso o corrotti o anche solo che fossero stati resi timorosi nel giudicare un soggetto che, in base alle accuse rivoltegli, potrebbe essere ritenuto assai pericoloso. Se questo può essere stato il senso dato alle mie parole me ne rammarico e ribadisco qui che non era questo il mio pensiero, non dubitando della onestà intellettuale e professionale dei componenti del collegio.
Come dicevo espressamente nel mio articolo ci si trova, dunque, davanti ad una diversità di vedute e con i toni estremamente preoccupati che ritengo possano essere utilizzati in materie incandescenti come questa ho ritenuto solo sottolineare la mia contrarietà ad un provvedimento che continuo a ritenere sbagliato in sé ma anche per le modalità con cui si è arrivati a quella decisione.
Nando dalla Chiesa
Nando
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