Buon compleanno Dodò. Storia di un bambino che giocava a pallone e che incontrò la ‘ndrangheta

 

Il Fatto Quotidiano, 17.10.15

Basta con quella frase scellerata. Lo si deve al piccolo Dodò se nel
movimento antimafia la parola d’ordine è passata alcuni anni fa con la velocità
del fulmine. D’ora in poi non diciamolo più, davanti a una vittima innocente di
mafia, che la sua colpa è stata quella di “trovarsi nel posto sbagliato nel
momento sbagliato”. Lo gridò, lo chiese disperato a tutti il papà di Dodò,
Giovanni Gabriele, che non riusciva a credere di avere portato suo figlio nel
posto “sbagliato” e di avere per questo condotto alla morte la propria creatura.
Qual era mai il posto “giusto” per un bambino di 10 anni, se non un campetto di
calcio su cui inseguire i suoi sogni con la maglia numero 10 della nazionale?
Già, perché Dodò venne ucciso proprio su un campetto della polisportiva Central
Park “in località Margherita” a Crotone. Vergogna infinita tra le infinite
vergogne dei clan. Era la sera del 25 giugno del 2009. Poco prima era stato proprio
il papà, allenatore della sua squadretta, a dirgli “ora entra tu”.
I killer
arrivarono come iene sparando all’impazzata in mezzo ai bambini pur di
annientare la vittima predestinata, Gabriele Marrazzo, uomo del clan
Tornicchio. Ferirono nove persone. Il piccolo Domenico venne colpito anche lui
mentre sognava di emulare sul campo il suo idolo, Alessandro Del Piero. Proiettili
alla testa, al fegato, a un polmone. Non morì subito, restò in coma quasi tre
mesi senza mai riprendere conoscenza, con il papà Giovanni e la mamma Francesca
aggrappati alla speranza di una grazia per quel loro unico figlio e
irriducibili alla retorica del “posto sbagliato”. Il papà con il rimorso di
quell’innocente “Ora entra tu” che aveva reso felice il bambino.
Dodò morì il 20 settembre all’ospedale di Catanzaro, quando sembrava quasi che
si potesse riprendere. Nel posto sbagliato c’era andata la ‘ndrangheta con i
suoi macellai, sbucati all’improvviso dal buio. La foto di quel bambino felice,
dal viso socievole e paffutello, fece il giro dei giornali, delle associazioni
calabresi, dei presidi di Libera in tutta Italia. Crotone si strinse commossa
intorno ai genitori che chiedevano giustizia, anche se questo, ripetevano senza
stancarsi, non avrebbe mai restituito loro Dodò. Il Duomo pieno, una folla di
bambini increduli, la pioggia battente che suggellava lo strazio collettivo. “Questo
è il giorno del dolore” disse il sindaco davanti alla bara bianca, su cui era
stata deposta una maglietta di calcio con la scritta “contro tutte le mafie”.
Arrivarono anche i danni economici di quel dramma: Giovanni operaio saltuario,
Francesca casalinga, erano rimasti senza più soldi per non staccarsi dal figlio.
I parenti lanciarono una sottoscrizione.

Il vuoto nato su un campetto affollato non si riempirà mai. Francesca non si
stanca di dirlo. Lo ha ripetuto anche in maggio dopo la conferma in Cassazione
della condanna all’ergastolo dei due killer. In primo grado erano state undici
ore di attesa insieme a decine e decine di ragazzi arrivati da tutta Italia nei
campi estivi della Calabria e rimasti in strada fino a sera per non lasciare
soli i due genitori. Guardati -i giovani intrusi- con atteggiamento di sfida
dagli imputati in gabbia.
Da poche settimane al nome di Dodò è stata intitolata un’associazione. Che
proprio oggi, in occasione della data del suo compleanno, organizza la settima
giornata della legalità. Al teatro Apollo di Crotone si sono dati appuntamento,
con tutti i coordinamenti calabresi di Libera, allievi e insegnanti di sette
scuole cittadine: licei, istituti tecnici, scuole primarie. Tanti coetanei di
quel “giorno del dolore” in arrivo da Crotone, ma anche da Tropea e Petronà.
Portando poesie, temi, immagini e video. E anche un monologo teatrale: per
raccontare questa piccola grande storia che non smette di commuovere. “L’anno
scorso”, racconta Francesca mescolando la voce gentile al pianto, “il teatro
era stracolmo. Quest’anno forse ancora di più. Volle iniziare a ricordarlo così
la sua maestra di religione. Sa, i ragazzi sono capaci di riportarlo in vita
anche per un secondo. Ma noi siamo morti dentro. Era mio figlio, non è una cosa
normale. Per fortuna in questi anni abbiamo conosciuto tante persone
straordinarie, forse ce le ha mandate Iddio per darci la forza di resistere. Ormai
lo sappiamo, la ‘ndrangheta uccide piccoli e grandi. Ma dopo Dodò molti ci sono
stati vicini, qualche piccola cosa sta cambiando.”
Se la manifestazione di oggi ha un titolo? Sì’, e ha l’innocenza di quella
maglia numero 10: “Buon compleanno Dodò”.

 





 

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