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Quelli di Cortocircuito. Giovani emiliani che suonano la sveglia
Il Fatto Quotidiano, 21.11.15
Ero curiosissimo.
E ora vediamoli di persona questi studenti di “Cortocircuito”, la gloriosa web
tivù emiliana, nata nel 2009 da un giornalino scolastico di Reggio Emilia. Nel
mondo dell’antimafia giovanile sono ormai un mito. Sono loro, una ventina di
ragazze e ragazzi, ad avere dato con le proprie inchieste la sveglia a una
regione ebbra della retorica degli “anticorpi”, letteralmente liquefatti
davanti all’avanzata dei clan calabresi. Elia Minari, il coordinatore di questa
creatura anfibia, metà associazione metà tivù, ha solo 22 anni. Alto, magro, un
bel ciuffo scuro, fa giurisprudenza. Si muove nel convegno bolognese con la
disinvoltura di un presentatore televisivo. Ha letto molti libri e ha fatto le
sue battaglie sul campo in un ambiente incredulo e talvolta ostile. Nella sala
congressi della Regione Emilia Romagna, amministra il pubblico, porge domande,
incalza gli insegnanti (che cos’ è per lei la legalità, che cos’è la morale,
chi è il “furbo”,…). Poi commenta e sintetizza: “fai la cosa giusta”.
Studio di
istinto il modo di fare di Elia, quella inedita combinazione di deferenza e
autorevolezza. E penso che solo ragazzi così sarebbero potuti andare a
riprendere i luoghi dei roghi reggiani prima che arrivassero le operazioni
giudiziarie: locali, cantieri e auto incendiati, una quarantina di casi, senza
che la città si allarmasse “perché tanto qui non siamo in Calabria”. Solo
ragazzi di buone letture e con una buona dose di irriverenza (ma una perfetta
educazione formale) avrebbero potuto immortalare l’agghiacciante intervista con
il sindaco di Brescello, il paese di Peppone e don Camillo finito in bocca ai Grande Aracre di Cutro, e
sorprenderlo, con quell’accento che più emiliano non si può, mentre fa sua la
causa delle imprese del boss (così “composto ed educato”) che saranno poi
confiscate.
Sul viso di Elia e di Francesca Montanari, la presidente dell’associazione,
tira un’aria di fresca impudenza. Forse è la ricetta vincente delle inchieste
diventate famose nel movimento. Come quella che li portò a interrogarsi
sull’appalto per la nuova scuola media di Montecchio: vinto con il 23 per cento
di ribasso da una ditta che non aveva nemmeno presentato il certificato
antimafia. Sparita la ditta, mai fatta la scuola.
Fanno vedere al qualificato pubblico il filmato di Brescello. E certo provoca
una corrente di umorismo nero vedere i colonizzatori di Cutro, provincia di
Crotone, accusarli, fuori dal bar, di infangare l’immagine di Brescello. O
insultarli mentre con maestria i ragazzi incassano e continuano a far domande
scomode.
Grande giornalismo di ventenni coraggiosi. Spiega Elia alla platea del
convegno che la prima volta che intuirono che con la mafia ci avevano a che
fare direttamente fu quando scoprirono che la festa per la fine dell’anno
scolastico era stata organizzata in una discoteca in odor di droga (lo diceva
un rapporto del prefetto) e i cui due proprietari sarebbero poi stati indagati
nell’ambito dell’operazione ‘Aemilia’. Perché ci portano proprio qui?, si
chiesero. Insomma, ribellarsi ai propri stessi ambienti per ribellarsi davvero
alla mafia; un po’ come il giovane Pif in “La mafia uccide solo d’estate”.
“Poi, andando avanti con le nostre inchieste, trovammo cose sempre più
preoccupanti, che mai ci saremmo aspettati”.
Studenti pionieri, più avanti degli adulti. Viene purtroppo in mente, a
proposito di Cortocircuito, come nel bellissimo film dedicato a Lea Garofalo, e
andato su Rai 3 mercoledì sera, sia scomparso ciò che di grande fecero le
studentesse milanesi per stare accanto alla domanda di giustizia della
giovanissima Denise. Due anni in aula dandosi il turno, per non lasciarla
idealmente mai sola. A decine. Uno dei
più memorabili episodi di solidarietà antimafiosa tra coetanei. Realizzato nel
totale anonimato, fino però a vedersi riconoscere da parte del Comune di
Milano, orgoglioso delle sue studentesse, la massima onorificenza civile
dell’Ambrogino d’oro. Tutto sparito.
E invece teniamoceli cari i giovani
dell’antimafia, e rendiamo loro onore per quel che fanno, da Scampia a Bologna.
Sperando che mai per questo si sentano un po’ divi. Giusto Elia? “Giusto, il
rischio c’è. La storia di questa lotta è fatta di personaggi, di eroi solitari.
Ma noi vogliamo scongiurarlo. Vogliamo essere in molti, uno che fa diritto,
l’altra relazioni internazionali, l’altro ingegneria informatica… Non un gruppo
che insegna agli altri come si vive. Ma tante persone e tante competenze per
battere la mafia”. E questo sì che è un bel programma.
Nando
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