Milano. Se la ‘ndrangheta entra nelle scuole

 

Il Fatto Quotidiano, 12.12.15

Ebbene sì. La
‘ndrangheta, al nord, avanza nella sanità e inizia ad avanzare pure nella
scuola. Quando lo si dice, come il sottoscritto ha appena fatto davanti alla
Commissione antimafia della Regione Lombardia, si alzano subito grida
indignate. Che trascurano, soprattutto per la sanità, inchieste giudiziarie e
atti parlamentari. Ma trascurano soprattutto la logica e la storia.
Era il 2003
quando il Documento di programmazione economica e finanziaria presentato in
parlamento indicava, in alternativa a settori “saturi”, due nuovi grandi campi
di investimento: la salute e la formazione. E vogliamo che in tredici anni le
mafie non abbiano seguito il consiglio? D’altronde qualche esperienza nel
settore gli ambienti contigui ai clan ce l’hanno. Solo per restare alla
Calabria, si prenda il bel libro di Corrado Stajano, “Africo”, uscito nel ’79 e
appena ripubblicato. E si veda il potere accumulato dal celebre prete-padrone
di Africo, don Giovanni Stilo, con il suo sistema scolastico al quale si
rivolgevano per gli esami dei privatisti istituti di tutta Italia.
O si riveda
la drammatica vicenda di Francesco Fortugno, il vicepresidente del consiglio
regionale della Calabria ucciso nel 2005 con l’idea di far entrare al suo posto
un candidato su cui i clan avevano puntato le proprie chances di controllo
della sanità: un tesoro che ingolosirebbe chiunque, visto che il settore
assorbe da solo una percentuale variabile tra il 77 e l’85 per cento della
spesa di ogni regione. Né sono assenti dalla storia delle mafie le figure dei
medici: da Michele Navarra capomafia di Corleone nel dopoguerra a Giuseppe
Guttadauro capo della mafia di Brancaccio dopo l’arresto dei Graviano, per non
parlare della sfilza di medici e psichiatri che hanno venduto ai boss mafiosi
detenuti, sotto processo o sotto indagine false perizie salvifiche, un altro
autentico tesoro. Insomma, è con la logica e la storia alle spalle che le
mafie, dopo avere costruito un proprio welfare parallelo, stanno andando ora
all’attacco del welfare ufficiale, quello dello Stato. Con effetti
imprevedibili.

Ma perché la scuola pubblica senza soldi? E in che modo? Perché la scuola offre
molti vantaggi. Anzitutto il rapporto con alcune fasce giovanili, lo stesso che
si cerca di coltivare entrando nell’associazionismo sportivo. Poi perché certe
tipologie di scuole consentono di lucrare sulle forniture: si pensi a quelle
informatiche, a quelle del vitto nelle scuole turistiche-alberghiere, a quelle
della strumentazione tecnica nelle scuole tecnico-professionali. Si pensi alle
opere di manutenzione. O alla gestione dei bar interni. Si pensi, ancora, agli
stipendi utili per radicare propri sodali sul territorio in cui si opera. O,
appunto, all’uso possibile degli esami di maturità per privatisti, per ottenere
diplomati da fare poi assumere in qualche amministrazione ambita. Sottovalutare
tutto questo in contesti in cui la ‘ndrangheta è particolarmente forte e
invasiva, come è il contesto lombardo, significa una volta di più cedere
terreno prezioso agli interessi criminali.

A Milano questi tentativi sono in corso. E ancora non hanno prodotto atti
giudiziari. Ma vanno denunciati. Perché gli insegnanti che le vivono, e le
descrivono documentatamente, hanno spesso ritrosia a denunciarle, temono
rappresaglie anche fisiche. Ma raccontano del progressivo arrivo di calabresi
degli stessi paesi, di piccole imprese lontane che (puntualmente avvertite)
vincono piccoli bandi. Argomentano che queste catene vanno oltre le possibili
coincidenze, segnalano che nascono anzi violando le regole con la protezione di
personale amministrativo dentro e fuori dalla scuola. Narrano di una conquista
che avviene classicamente dal basso, partendo da un bidello o da una
segreteria, dalla costruzione di reti di favori che catturano via via i livelli
gerarchici, di chiamate irregolari di supplenti, di parentele e relazioni
strette con famiglie di peso, ben citate in atti giudiziari; di strategie per
costruire nuclei interni in grado di condizionare la vita della scuola, fino a
indurre qualcuno al trasferimento o alla pensione anticipata.
Racconti che non
arrivano solo al sottoscritto. Sarebbe intempestivo dire di più. Ma intanto le
istituzioni facciano quadrato, intervengano per le proprie competenze a
difendere il mondo in cui si dovrebbe costruire una nuova cultura civile. O si
rischia di chiedere ai bambini e agli adolescenti di denunciare gli episodi di
bullismo senza essere capaci di vedere e di denunciare la mafia che ti entra
nella scuola.

 

Leave a Reply

Next Article21 dicembre, teatro Parenti. Il libro che ho desiderato per decenni: "Tutti gli uomini del Generale"