Nomadina: le foto per affetto e la rivoluzione gentile

Questo articolo e´uscito sul Fatto Quotidiano del 9 gennaio. Incredibilmente ho dimenticato di metterlo sul Blog, pur parlando di una grande ospite di questo Blog, la nostra "Nomadina". Me ne scuso…Il fatto e´che il 10 sono partito per Berlino, dove anche quest´anno sto tenendo un corso alla Humboldt (su "Mafia e cinema"). Vi faro´sapere…

La rete come le porte dei
gabinetti delle scuole o delle università. Sfogatoio degli impulsi più
tangheri, protetti dall’anonimato. Quante volte ce lo siamo detti? Immaginate
ora di trovare un giorno su una di quelle porte una poesia, un pensiero
gentile. Sarebbe una rivoluzione. Ecco, “Nomadina” è una rivoluzionaria. Il suo
nickname si infila delicatamente in rete per prendere parte a una discussione, capire
l’interlocutore, e poi inviargli una foto che possa fargli piacere. Che
riguardi lui, o le persone di cui scrive con affetto. Ci vogliono mesi e mesi perché
dica di chiamarsi Federica, Federica Vergaro. E solo dopo che ha mandato molte
foto, pescate con abilità da investigatore negli archivi più impensabili, negli
anfratti della storia, ti fa vedere la sua, giusto perché hai deciso di scriverne.
Una ragazza ancora più giovane dei suoi vent’anni, il viso pulito e amichevole,
ritratto del modo in cui ha colloquiato a lungo con una comunità moto più
adulta di lei. “Sono di Ruffano, provincia di Lecce, di un’umile famiglia del
basso Salento. Padre muratore e madre casalinga, Francesco e Carolina. Mio
padre rimase vedovo nel ’94 con tre figli adolescenti. Io sono nata dalla sua
seconda moglie. Quando ebbi il coraggio di chiedergli perché si fosse risposato
mi disse: ‘Avevo bisogno di una figura femminile che mi aiutasse moralmente a
crescere i tuoi fratelli. Poi incontrai tua madre’. I miei fratelli mi hanno
accettato fin dal momento della mia nascita. Essendo la più piccola, ero e sono
la più coccolata. Con mio padre non ci ho mai parlato molto, è sempre stato un
rapporto difficile. Ci teniamo tutto dentro, il nostro legame è fatto di
sguardi e sorrisi silenziosi. Anche se a volte mi è capitato di vederlo
piangere, lui ha sempre creduto che non me ne sia mai accorta. Ha tirato su
quattro figli in modo dignitoso.
Mia madre invece è una presenza
imprescindibile, sempre in apprensione per me, è stato il suo modo di
crescermi. Non mi ha fatto mancare nulla, affrontando duri sacrifici; e dicono
i miei fratelli che è stata capace di sostituire la loro mamma. La cosa che più
mi brucia è vederla mettersi sempre in secondo piano, preoccuparsi per ogni
minima cosa, anche ora che la salute comincia a risentirne”.
C’è in questo interno di famiglia non richiesto un candore quasi alieno.
Federica si è diplomata in economia aziendale, ma le piaceva soprattutto la
storia, come testimonia la sua straordinaria capacità di scovare le foto più
adatte a contesti anche lontani e sconosciuti. L’università, giurisprudenza, è
solo un desiderio. “Faccio volontariato con ‘I colori del vento’, una onlus
formata da alcuni genitori di bimbi e ragazzi disabili, a cui ho imparato a
voler bene in modo silenzioso. Per loro scatto le foto in occasione di eventi
di cui sono protagonisti, ad esempio campagne di sensibilizzazione per
abbattere le barriere architettoniche”.


La fotografia per comunicare con le persone. “E’ una parte irrinunciabile di me. Sono sempre stata timida e di poche parole. Ho cominciato a dodici anni, per gioco, usando una fotocamera digitale che col tempo, senza accorgermene, ho iniziato a portare ovunque. Le mie foto raccontano gli sguardi delle persone, ciò che la gente ha di più nascosto e puro dentro. Ricorda il Piccolo principe? ‘Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi’. Belle le favole senza età, vero? Grazie alla fotografia ho superato pian piano la timidezza e imparato a rispettare la storia personale di chiunque mi capiti sotto obiettivo. Mi piace tirar fuori il meglio delle persone, incoraggiandole a dirmi quello che pensano. Mi piace ascoltare le loro storie. Mi piacciono le storie degli eroi della lotta alla mafia. Da quando le ho incontrate, avevo tredici anni, ho capito che il mio compito era in qualche modo di dare un contributo civico in questa lotta. Il mio sogno? Prendermi cura degli altri, dei minori soprattutto. Lasciare un segno, far capire che la felicità è anche fatta di piccole cose, come la tenerezza di un bambino che indica la guancia in cerca di un bacino, o i sorrisi degli artisti stanchi ma soddisfatti dopo aver suonato due ore al freddo, e nemmeno per una folla tanto numerosa. Raccontare momenti e pezzi di vita con i filmati e con le foto. Mi piacerebbe molto aprire un blog per farlo, con tante immagini associate a brevi didascalie.”
Che storie semplici e preziose si incontrano in rete. La giovanissima figlia di un muratore, le foto per dare affetto, la forza rivoluzionaria della gentilezza.

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