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Mafia. Le verità difficili tra giustizia e politica
Davide Mattiello, membro della Commissione parlamentare antimafia, ha mandato al Blog questo contributo, che ospito molto volentieri.
Era il 5 Novembre 2015 e Attilio Bolzoni terminava
il suo pezzo constatando che il cratere di Capaci rischia di essere troppo
grande per un’aula di giustizia. Era il pezzo con il quale commentava
l’assoluzione, per non aver commesso il fatto, di Calogero Mannino in
abbreviato a Palermo, costola e al tempo stesso perno dell’impianto accusatorio
del processo sulla “trattativa”.
Altri segnali confermano i limiti del processo
penale come strumento per fare chiarezza non soltanto su singole condotte
individuali o associate integranti fattispecie di reato, ma più
complessivamente su un intreccio di relazioni, interessi e scambi che ha
ridisegnato la mappa del potere in Italia negli ultimi venticinque anni.
Questi limiti si traducono ora in un saggio cambio
di rotta parziale per evitare di buttare via il bambino con l’acqua sporca, che
rischia di passare per rinuncia, ora in una resa alle pretese del tempo
trascorso, che lascia l’amaro in bocca e tante domande, ora in un moto di
denuncia, che rischia di torcertisi contro, ora in una pista tanto ambiziosa
quanto flebile, che ti domandi se non sia stata lasciata apposta per farti
cadere dall’alto e schiantarti, ora in situazioni nelle quali le responsabilità
della politica sono talmente palesi da apparire grottesche.
Penso alla latitanza di Amedeo Matacena a Dubai che
si protrae dall’Agosto del 2013, come se non ci fosse modo per farla finire,
penso ai collaboratori di giustizia che confermano quasi 30 anni dopo che
“Faccia di mostro” non è l’ossessione paranoica di un vecchio padre sofferente
e di qualche magistrato tendenzioso, penso alle parole di denuncia della
dott.ssa Principato sulle coperture alto
locate di cui gode la latitanza di Messina Denaro, penso all’archiviazione chiesta
e ottenuta sui depistaggi di Via D’amelio, penso alla riduzione in Appello
dell’imputazione a carico di Mori e Obinu per quel blitz mancato a Mezzojuso
nell’Ottobre del 1995.
Con il rischio incombente e velenoso di restare
avviluppati mentre ci si ostina ad inoltrarsi in questa giungla: il rischio di
finire “mascariati”, scientemente fraintesi e vilipesi, in modo che si confonda
il confine tra chi prova, pur con tanti limiti, a fare luce e chi di violenza e
arroganza ha fatto il proprio modo di stare al Mondo. Così che che trovi alibi quella
forma sottile di disperazione: “sono tutti uguali”. Così che trionfi l’ignavia degli
arresi, travestita da sapienza.
Quel “cratere troppo grande” si scrive potere e si
legge politica. Ma nel momento in cui si prova a spostare lo sguardo dalle aule
di giustizia a quelle parlamentari, ipotizzando un “tribunale” diversamente
capace, ci si rafforza nella convinzione che difficilmente il potere giudica se
stesso con quella alterità che permetterebbe di chiamare le cose per nome.
Qualche volta capita, ma il prodotto rischia di avere più il sapore della resa
dei conti che della verità, perché capita
in certe situazioni rare, frutto di un drammatico ribaltamento dei rapporti di
forza, che permette a chi stava sotto di venire sopra e da lì ridire il Mondo,
ora condannando, ora amnistiando. Non è ora quel tempo: questo è il tempo della
rassicurazione reciproca, in nome di una certa idea di Italia e del suo futuro.
Ma non c’è futuro senza risolvere il passato. O, quanto meno, non c’è un futuro migliore.
Che fare?
Forse l’unica è andare avanti, ciascuno per come può e sa, facendosi forti di una dose di ingenuità, che qualcuno scambierà per idiozia, nel perseguire comunque e ancora, la propria strada, chi nelle aule di giustizia, chi in quelle parlamentari o universitarie. Può sembrare irragionevole, e invece è una mossa fondata su una ragione più profonda, che parafrasando il concetto adoperato da Nando Dalla Chiesa per interpretare il periodo delle stragi, può sintetizzarsi nella non impossibile convergenza di questi percorsi. Una non impossibile convergenza che porti al mutamento degli attuali rapporti di forza, a patto di non arrovellarsi sul come e sul quando. Almeno quel tanto che basta.
Nando
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