Giuliana. Nel nome del figlio la sfida più difficile

 

Il Fatto Quotidiano, 27.2.2016

Com’ è luminoso il
dolore delle madri. Quando il raggio di sole scende dalla finestra della
mansarda sul viso ampio e gentile di Giuliana Bramonti, lo penso per la prima
volta. Le parole le escono veloci e faticose. Ha da raccontare la storia di un
figlio ucciso due anni fa nel modo più assurdo. Durante una sosta notturna in
via Garibaldi a Roma. Al ritorno da un concerto con il fratello Francesco. Un
bisogno fisiologico, i due fratelli scendono dalla Panda, un po’ di musica
lasciata per qualche istante nell’ auto. Un uomo adulto esce da una roulotte
posteggiata abusivamente nelle strisce blu, si avvicina a uno di loro e gli
conficca un cacciavite nel torace. Per punirlo di quella breve musica che lo ha
svegliato. Il giovane crolla nelle braccia del fratello, morirà dopo poco. Si
chiama Carlo, ha uno splendido viso riccioluto, ama la chitarra e la musica
degli anni settanta. Carlo. Questo solo nome è vergato a mano dalla madre sulla
busta che consegna per documentazione. Chissà quante volte lo ha pronunciato,
da quella notte. Ora dà un senso alla sua vita attraverso l’associazione che
gli è stata intitolata: “Carlo Macro per la legalità”. Perché quel delitto è
nato proprio in un contesto di legalità incerta.

“Quella roulotte lì non ci poteva stare. E’ di quelle che la comunità
Sant’Egidio dà in dono a persone emarginate. Spesso sono strutture malandate e
non risultano intestate. Le regole sono chiare. Le roulotte hanno bisogno di
autorizzazioni, ma nessuno le controlla, nemmeno in luoghi monumentali come il Gianicolo,
dove è accaduto il delitto. Pensi che l’assassino, un indiano di quasi
sessant’anni, aveva precedenti penali ed era stato colpito da un provvedimento
di espulsione prima di ricevere questa forma di assistenza. Intendiamoci, io
apprezzo la solidarietà e non ho nulla contro gli immigrati. Ma, non li si
aiuta così, con il rischio di lasciare solo uno squilibrato in un contesto di
degrado, e senza prendersi le responsabilità di quello che accade”.
La signora Giuliana parla di tutti con rispetto, ma ha quel chiodo nel cuore,
non si caapcita. Non è una donna vissuta nella bambagia. Dopo la morte del
marito ha tirato su un albergo a Pescasseroli, insieme con Carlo, che da
biologo si era convertito in imprenditore geniale. Racconta gli ostacoli
affrontati, banche, tassi usurari, vescovi, l’ ostilità della Regione Abruzzo,
un sistema che solo a sentirlo raccontare avresti voglia di scappare. Lei
invece è rimasta, ha sostenuto la sfida, e con il suo albergo ha fatto da
riferimento per decine di associazioni ambientaliste, paesaggistiche,
culturali, per un turismo di qualità intorno al Parco Nazionale.

Giuliana Bramonti ricorda con nostalgia quel periodo con Carlo. Ma ora pensa ad
altro. “Occorre iniettare lo spirito di legalità in questa società”.
“Iniettare”, lo dice tre volte. Spiega che l’associazione non esiste per
ricordare il figlio ma per fare qualcosa per gli altri. La guardi e pensi che,
almeno in parte, è una meravigliosa, umanissima bugia. Un albero ricorda Carlo
a San Pietro in Vincoli. Lei ora progetta un convegno per la prossima primavera. Legalità, trasparenza,
accoglienza, responsabilità degli operatori pubblici, queste le parole chiave.
“Vede, non riesco ad accettare che il comune lasci in giro queste roulotte che
dovrebbero testimoniare la vocazione all’accoglienza della Comunità Sant’
Egidio. Mi brucia che non si siano mai presi la responsabilità di quel che è
accaduto, e che ancora rivendichino questo tipo di intervento, con la scusa che
non bisogna nascondere il disagio sociale. Aiutare gli emarginati deve costare
fatica. Mi brucia che ci siano giri di connivenze, guardi qui questo foglio”.
Mostra un documento giudiziario, firmato da un pubblico ministero, che ipotizza
connivenze sospette, testualmente “violazioni del segreto d’ufficio e favoreggiamento
personale”. “Significa”, spiega lei, “roulotte che spariscono in coincidenza
con le ispezioni e poi riappaiono, salvo essere trovate da ispezioni non
preventivate”.

E l’assassino? “Ha avuto quattordici anni, pensi che i giudici non hanno voluto
riconoscere l’aggravante dei futili motivi”. La signora Giuliana ha speso quasi
tutte le sue risorse per il processo. “Ora arriveranno l’appello e la Cassazione, e lei non
ha più soldi”, spiega Ronaldo Panfili,
il signore che l’ha accompagnata. Lei lo ferma con un cenno garbato. E
orgoglioso: “Faremo il possibile”. Per Carlo. Per lui e per cambiare in suo
nome questa società. “Almeno di uno spicchio”. E’ il suo sogno.

 

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