Perché difendere il movimento antimafia. E come

da Il Fatto Quotidiano del 9 maggio 2016

Ora è di moda e il momento è propizio per la caccia. Un tempo ci si andava cauti. Era il Natale del 2013 quando sollevai il problema su questo giornale. Titolo: il circo dell’antimafia. Ne vennero attacchi a raffica sui social, e non arrivarono i nostri in soccorso. Ma bisognava dirlo. Chi conosceva il movimento dall’interno capiva, senza bisogno di aspettare i magistrati, che stava accadendo qualcosa di allarmante. Piccoli arricchimenti personali, narcisismi, incompetenti in cattedra, reputazioni eroiche farlocche, mitologia della scorta, corse al guerriero sconosciuto da proporre a pubblici profani, cittadinanze onorarie, progetti scaturiti solo dai soldi in palio. Di fatto era la conseguenza di una crescita del movimento. Non più reietto e censurato e povero come negli anni ottanta. Il suo faticoso cammino, e soprattutto il sangue delle sue vittime, avevano portato anche onori, riconoscimenti, legittimazione, fondi pubblici a sostegno della causa buona e giusta. E se prima raramente un opportunista era tentato di schierarsi con l’antimafia (ricordiamo sempre che l’opportunista “per eccellenza” censurato da Sciascia come professionista dell’antimafia era Paolo Borsellino!), ora la tentazione poteva starci eccome. Perfino la rapida (e benvenuta) espansione del movimento al Nord giocava la sua parte. L’avvicinamento al tema e l’ansia di condividere la sua aura di coraggio e di martirio portavano neofiti senza nozioni ma ansiosi di “esserci” a promuovere sul campo ciarlatani e maneggioni, dipinti da qualche articolo di stampa ma soprattutto da autonarrazioni fantasiose come combattenti sul campo, avamposti civili intorno a cui schierarsi. Una maionese  impazzita.

Frutto della crescita, dunque; non segno del tracollo o della morte annunciata del movimento. Ma alla fine in grado di corromperne l’immagine, di far volare lo scetticismo che livella ogni cosa. Un rischio soprattutto di fronte all’osservatore esterno, al clima mediatico. Perché il movimento ha in sé, sempre per chi lo conosce dall’interno, una energia quotidiana capace di stupire, di fargli oltrepassare incidenti e delusioni. Molto più forte delle frustate che riceve, di cui il caso del ruspante Pino Maniaci, coraggioso ribelle di popolo perduto dalla sua stessa condizione, è oggi la più bruciante. Se la moda dell’anno è infatti fustigarlo senza rischio (può dare onori ma non sarà mai potere vero…), il flusso morale che scorre nel corpo del paese gli regala ogni anno nuove forze, ignote naturalmente a chi ha occhi solo per l’area-riflettori, che oggi dell’antimafia ospita con qualche pruderie le fragilità o le ribalderie. Esiste infatti, difficile non vederlo, un vero e proprio popolo dell’antimafia che fa cultura e innovazione civile costruendo gratuitamente ogni giorno un senso della storia e dello Stato sconosciuto spesso alle stesse istituzioni.

Ebbene, questa energia morale in lotta con una società corrotta fino al midollo va ora difesa con molta più consapevolezza. Sapendo che combattere la mafia significa liberarsi con intransigenza dei vizi che la alimentano giorno per giorno, ossia di quelle che chiamiamo con indulgenza le “umane debolezze”. E avendo chiaro che si hanno dei doveri verso la stessa storia dell’antimafia: costellata di umiliazioni ed emarginazioni, nel giornalismo come in politica, nelle istituzioni come negli ordini professionali. Nella vita sociale e nei rapporti personali. Storia popolata di persone che hanno dato la vita, o l’hanno rischiata o l’hanno comunque dedicata a una grande causa di libertà, e che trova rappresentanza simbolica nelle centinaia e centinaia di familiari di vittime che si riuniscono ogni primo giorno di primavera alla grande manifestazione di Libera. Proprio perciò propongo che d’ora in poi chi fregiandosi degli ideali dell’antimafia terrà comportamenti osceni sul piano morale o addirittura giudiziario, subisca un’azione di risarcimento civile, una vera class action, da parte dell’intero movimento. Il patrimonio di ideali, di memorie e di speranze che viene colpito è infatti troppo grande e prezioso per essere sporcato gratis da calcolatori ambigui o da gente d’avventura, si tratti di dignitari di corte o di masanielli forsennati. Altrimenti sarà l’assalto degli avvoltoi, con i grandi interessi privati seduti in riva al fiume, impazienti di mettere le mani sui beni confiscati. E i brindisi di chi l’antimafia l’ha sempre considerata, in fondo, un nemico peggio della mafia.

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1 commento

  1. massimo fontana

    Condivido, spesso anche personalità pubbliche utilizzano messaggi antimafia per ottenere un’immagine positiva presso il proprio elettorato. Solo immagine.

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