Dai mafiosi mi guardo io, da certi giudici ci guardi Iddio

Pubblico su questo Blog un limpido intervento di don Tonio Dell’Olio, autorevole esponente di Libera e tra i fondatori di Libera International, molto impegnato anche in America Latina, sull’ultima sconcertante (si può dire che uno studioso ne resta sconcertato? sì? o è reato?) sui clan Fasciani e Triassi di Ostia (a voi in simbolica foto). Condivido ogni sillaba di questo intervento, e ripeto qui quello che ho già detto due volte facendo lezione alla Scuola Superiore della Magistratura: il Paese e i migliori magistrati ed esponenti delle forze dell’ordine sono costretti a fare i conti ogni giorno con giudici che anche di fronte ai fatti più clamorosi si rifiutano (per cultura, dottrina o psicologia) di ammettere che nelle regioni centrali e settentrionali esista il fenomeno mafioso così come previsto dal codice penale. E’ un dramma nel dramma. Avessimo istituzioni all’altezza dei problemi, in ogni settore, tutto questo non sarebbe. E invece ci tocca. Così ha scritto dunque don Tonio su www.mosaicodipace:
“La Corte di Appello di Roma ha dimezzato di fatto le pene che erano state inflitte ai membri del clan Fasciani e Triassi in primo grado e ha assolto alcuni presunti affiliati del clan stesso. Il clan era considerato il padrone di Ostia. Tra i reati contestati ci sono usura, estorsioni, intestazione fittizia di beni, controllo di attività economiche, appalti, concessioni, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti… A determinare i giudici è stata la valutazione secondo la quale non esiste in questo caso l’aggravante del metodo mafioso e che si tratti piuttosto di associazione a delinquere pura e semplice. Pur in rispettosa attesa di conoscere con precisione le motivazioni della sentenza, è inevitabile manifestare qualche dubbio, perplessità e preoccupazione. Innanzitutto per un motivo procedurale dal momento che la Cassazione ha confermato la condanna per associazione mafiosa a coloro che erano parte dello stesso clan, avevano commesso i medesimi reati ma hanno preferito scegliere il rito abbreviato e pertanto sono stati giudicati a parte. Ma il dubbio più profondo è che questa sentenza segni un arretramento storico sulla concezione di mafia e non mafia e che, alla fine, possa arrivare a influenzare anche altri processi in corso, primo tra tutti Mafia capitale. Insomma resto della convinzione che laddove non si compiano reati solo per arricchirsi ma anche per esercitare il potere su un territorio, è mafia. Quando non ci si limita a fare soldi con furti, frodi e trucchi ma si arriva a corrompere, intimidire e minacciare, è mafia. Quando si tende al condizionamento dell’attività economica e politica di una comunità, è mafia. Prima delle sentenze, lo avverte la gente.”

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