Ma Marco non ci sta: a Ostia la mafia esiste

Dice che le sentenze non si discutono. E perché mai? Si discutono eccome. Chiedetelo a Marco, che si batte contro la mafia a Ostia dai primi anni del liceo. “Che cosa ho provato quando ho saputo della sentenza d’appello? Quella che ha negato la natura mafiosa dei clan più potenti e famosi di Ostia? La sensazione più forte è stata quella del disorientamento, non ce lo aspettavamo proprio dopo il primo grado di giudizio. Tutto è stato ribaltato. E’ incredibile. Quelli che hanno fatto il rito abbreviato sono stati condannati per associazione mafiosa, con tanto di conferma in Cassazione. Per gli altri imputati, invece, la mafia nemmeno esiste. Ma come si fa? Certo che ho provato rabbia, rabbia e abbandono”. Marco Franzoni è un giovane dal viso allegro e sognatore. Vent’anni, primo anno di filosofia alla Sapienza, il liceo classico fatto nella parte più vecchia di Ostia, “quella più tranquilla, in fondo”. Lavora da quattro anni nel presidio territoriale di Libera, da tempo in prima fila nella infinita vicenda di impunità che sta segnando la storia dell’ex cittadina di mare diventata municipio di Roma.

“Lei provi a pensarci. Abbiamo un municipio commissariato, la politica che invece di far partecipare alla vita pubblica si allontana dalla gente, e già questo ha prodotto guasti enormi. Ora arriva anche il potere giudiziario, che ti dà il suo messaggio: non contate troppo su di noi per fare pulizia sul vostro territorio. Sa, io non ho le competenze tecniche, non sono e non sarò mai un giurista. Ma qui è stata emessa una sentenza che per noi avrà ripercussioni enormi. Mica solo sugli altri processi, ma proprio su quello che succederà su questo territorio nei prossimi mesi. Certo, aspettiamo le motivazioni, come si dice sempre. Passeranno settimane e settimane. Ma intanto gli effetti li paghiamo noi. Uno non può mai pensare che chi giudica sia in malafede, però…però la rabbia e un po’ anche la paura sono tante. Perché qui la minaccia è una cosa che cammina: impalpabile se non la vuoi vedere, onnipresente se ne sei il bersaglio. Qualche tempo fa abbiamo organizzato una giornata di sport in strada, verso il porto, a piazza Gasparri. Eravamo Libera, la Comunità Sant’Egidio, Alternativa onlus, un bel po’ di associazioni sportive, abbiamo montato i campi di pallavolo, di basket, di bocce. Ma no, nessuno slogan antimafia, era una manifestazione per la socialità, contro il degrado dell’area. Eppure per tutto il tempo si sono piazzati lì gli esponenti di una delle famiglie più note, guardandoci di continuo. Che cosa facevano lì, i passanti? Il fatto è che sei fai cose buone sei sempre un fastidio, un corpo estraneo”.

Marco è un fiume in piena. Rispettoso per le istituzioni, ha però tanti episodi da raccontare. I due pesi e le due misure con loro e Casa Pound per avere l’occupazione di suolo pubblico. Le vicissitudini al limite del grottesco subite dal lido ottenuto in gestione da Uisp e Libera, autentica pecora nera in un sistema dove l’accesso al mare è di fatto a pagamento e dove gli scontrini fiscali a volte non vengono battuti nemmeno su richiesta. Ha imparato il vero motivo per cui undici chilometri di spiaggia corrono dietro un muro che ha tolto il mare alla vista dei cittadini. Sa lo strapotere dei Triassi e dei Fasciani, immacolati dall’accusa di mafia o di metodo mafioso dopo la sentenza. “Questa notte ne abbiamo discusso su una radio-web, a Radio-Impegno, un progetto realizzato a Corviale. Vogliamo capire che cosa ci aspetta. Il Municipio conciato in quel modo, Casa Pound che ci minaccia anche alle semplici feste private senza che nessuno ci difenda, la giustizia che dà questi messaggi a clan che spadroneggiano senza ritegno. Perché vede, noi cerchiamo di reagire, noi cerchiamo di fare di Ostia un’altra cosa, l’assessore Sabella quando era qui ci aveva appoggiato, ma poi la gente si guarda intorno, capisce di essere sola, e anche se le associazioni sono tante alla fine arriva una flessione della partecipazione. Soprattutto quando avanza la paura. Come ora. Qui ci sono molte aggressioni, colpiscono ragazzi che hanno semplicemente una cultura alternativa, non colpiscono gli oppositori politici, si è come trasferita nella società civile. Di recente c’è stata una sparatoria davanti al municipio, e poi una gambizzazione a Nuova Ostia, probabilmente un regolamento di conti…Il mio nome? Lo metta pure. Altri però non glieli posso dare. Anche senza il cognome li riconoscerebbero, e sono esposti”. Così si parla e questo succede a Ostia, Roma, dove la mafia non esiste.
(scritta sul Fatto Quotidiano del 18.6.16)

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