Francesca. Storia in miniatura di un’Europa senz’anima

Dopo sei mesi a Bruxelles se ne sta andando a Parigi. L’hanno appena presa per un master in politica culturale, e scalpita nell’attesa. Se volete capire qualcosa di Brexit e dintorni rivolgetevi a lei, Francesca Festa, giovanissima stagista italiana venuta con entusiasmo a Bruxelles a lavorare in una società di consulenza. E fatevi raccontare la sua esperienza. Fondi europei, Commissione europea, parlamento europeo.
“Ho lavorato in una società di consulenza sui fondi europei. Sa quante sono le piccole imprese che ne hanno bisogno? Da sole non ce la farebbero mai. Gli italiani sono così inesperti che tendono sempre a scegliere partner del loro paese. Figurarsi affrontare i meandri di Bruxelles. Il lavoro è stato anche bello, il nostro capo coinvolgeva sempre me e un’altra ragazza nelle scelte. Mi ha messo subito a fare il lavoro di reclutamento. Perché sa, qui a Bruxelles funziona così. Ci sono i convegni, i meeting, e poi è normale che alla fine degli incontri siano previsti degli spazi di promozione per le società di consulenza sui fondi. Io mi mettevo faccia a faccia con il potenziale cliente, lui mi spiegava che cosa chiedeva e io spiegavo i nostri servizi. A volte si lavora anche gratuitamente, con l’intesa che se i fondi arrivano una percentuale spetta a chi li ha fatti vincere.

Forse sono stata condizionata dal lavoro che facevo. Ma a volte sembra che l’Europa sia soprattutto fondi e soldi, una ‘cosa’ da usare cinicamente. E numeri da gestire, e ti rendi conto che ci vuole anche una certa bravura a tenerli. Ma tutto si spersonalizza. Come sarà andato a finire quell’investimento, quel progetto? Sono stata anche alle riunioni della Commissione. E la sensazione di astrattezza era totale. A volte, certo, per la natura necessariamente tecnica delle discussioni, aeronautica o prodotti agricoli. Ma perfino le riunioni sull’ immigrazione avevano percorsi e preoccupazioni tutte loro. Ricordo accademici arrivati dal Nord-Europa discettare delle tesi sull’immigrazione, mentre si era sconvolti dalle storie delle navi affondate o dei bambini gettati in mare. Non c’era urgenza, non c’era calore. E’ un mondo speciale. Popolato di stagisti, i famosi stagisti europei. Tutti illusi di trovare qui un posto e generalmente condannati a chiudere il loro periodo di gloria a fine semestre. C’è perfino una sera della settimana, il giovedì, in cui si radunano in festa, ciascuno con il suo badge per farsi riconoscere. Tanti stagisti italiani, gli italiani sono quelli che si sono infilati di più, per noi lo spazio è davvero saturo.

Per questo ho scelto di andarmene. Voglio fare politica culturale per una città, per un luogo visibile, non per montagne di carta. Qui si sta bene in fondo, a parte la pioggia. Prendevo 600 euro al mese, 300 per una stanza e con le altre trecento ci stai. Una birra la sera costa 2 euro e mezzo, molte mostre sono gratis, vai ai supermercati. Ma è proprio il senso di quel che fai che ti viene a mancare. Lo sa che termine hanno coniato qui a Bruxelles? Eurobubble, ovvero eurobolla. La bolla europea fatta di convenzioni e riti e relazioni, che perfino a Bruxelles fa mondo a sé, staccata dalle contraddizioni sociali che la assediano, in una città in cui pure è esploso il terrorismo.
Anzi, a proposito di terrorismo, si ricorda l’attentato al metro? Ecco, tutti i mass media riprendevano la place Schumann completamente deserta…quando in realtà le istituzioni dell’Unione erano chiuse perché era già previsto che quello fosse un giorno festivo. Noi invece uscivamo lo stesso per riprendere la nostra vita tranquillamente. E’ questo  senso di finzione che avvilisce. Come quei momenti cosiddetti di networking dove le lobby e i consulenti ci sono sempre. Ecco, lì è obbligatorio andare con scorte intere di biglietti da visita, lì sei il tuo biglietto da visita”

Francesca teme di esagerare. “Dopodiché, il bello di questa città è la sua capacità di mescolare popoli e colori. Si è visto anche in questi europei di calcio (nel frattempo sfrecciano strombazzando i tifosi del Portogallo; ndr). Tante comunità di stranieri, tante lingue e culture come qui è difficile trovarle, ti senti davvero nel cuore dell’Europa”. Bruxelles addio, dunque. Verso  “Science Po Paris”. L’Europa vista da una giovane europeista è algida, senza sugo. Il sogno, scritto negli occhi che si illuminano, è un altro: “la promozione di politiche culturali innovative su un territorio”, “avere un impatto sociale concreto per migliorare il nostro mondo”. In mezzo, a quanto pare, c’è l’abisso.
(Scritto sul Fatto Quotidiano del 9.7.16)

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