La verità su Pantani: la camorra contro il Pirata?

Questo articolo è stato scritto sulla Gazzetta dello Sport del 7 luglio da Piero Calabrò, ex magistrato e presidente della Nazionale italiana magistrati. Lo scenario evocato dall’inchiesta è quello delle scommesse governate dalla camorra. Pantani non doveva vincere il Giro.

Quella mattina del 5 giugno 1999, insieme a campioni del ciclismo e giornalisti sportivi arrivati al passo Aprica in attesa dell’ennesima impresa di Marco Pantani, appresi con un senso istintivo di inquietudine la notizia che la maglia rosa era stato estromessa dal Giro d’Italia. Fui da subito assalito dal dubbio che qualcosa di insolito potesse essere accaduto, anche se una semplice sensazione non può essere una buona guida per una valida opinione.

Dopo oltre 15 anni quel senso di disagio personale si è trasformato in una inchiesta giudiziaria. Non solo, dopo due anni d’indagini il Procuratore Capo di Forlì ha messo nero su bianco alcune importanti conclusioni: ritiene credibile che a fermare il Pirata non sia stato un serio e leale test sull’ematocrito, ma una ben più grave faccenda criminale. La giustizia deve necessariamente tendere a ricostruire, all’interno di un equo processo, la verità di un fatto e le responsabilità personali dei protagonisti. Nella vicenda Pantani, pur di fronte al concreto sospetto che le analisi e i valori dell’ematocrito del Pirata siano stati alterati per volere della camorra, l’inchiesta rischia di essere archiviata (questa è stata la richiesta del Pubblico Ministero al Giudice per le Indagini Preliminari) per sopraggiunta prescrizione delle ipotesi di reato: la corruzione messa in atto dal clan. La storia della camorra, così come quella di ogni altra associazione a delinquere di stampo mafioso, insegna al contrario che, nel momento in cui decida di ottenere da qualunque persona determinati comportamenti, a quest’ultima non sia lasciata alcuna reale possibilità di scelta. Se, dunque, si è ipotizzato che i valori dell’ematocrito di Pantani siano stati cambiati per interesse della camorra, allora la contestazione da fare è quella dell’estorsione. Un reato (ancora non prescritto) che consentirebbe la prosecuzione delle indagini, nel tentativo di accertare la verità su quel gravissimo episodio. Fermarsi adesso equivarrebbe a una inspiegabile abdicazione della società civile nei confronti di un gruppo criminale organizzato.

Non credo sia troppo chiedere che lo stesso dubbio e la medesima voglia di verità conducano chi ha l’onere di accertarla ad utilizzare tutti gli strumenti che il processo e la legge da sempre concedono. Concludendo, la speranza è che il GIP di Forlì trasmetta gli atti alla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, permettendo all’inchiesta di continuare su un importante percorso già tracciato dagli stessi inquirenti.

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