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Il vento dell’est e altre fantasie
Sì, amici, sono immerso in un villaggio calabro. Non di quelli artificiali con animatori, trenini, buffet e coppie scoppiate. Ma villaggio vero; né paese né quartiere e nemmeno porto. Con una sua identità, sia pure recente: qualche semicerchio e un po’ di geometrie perpendicolari da castrum romano, con gli abitanti che si conoscono per metà da più trent’anni. I loro figli, qui oggi in veste di padri e madri, ci razzolavano allegri o piagnucolanti quando erano piccoli. “Calabro” poi. Certo, perché non potrei dire “calabrese” senza togliere qualcosa al profumo di antichità che sovrasta l’abitato. E che sale ogni sera dal mare incontaminato e scintillante, immenso, totalmente vergine di yacht e barche all’attracco, o dalle spiagge lunghissime e quasi deserte. Allora, sotto la potenza luminosa della luna, il concetto di antico prende spazio e spessore. Penetra la mente. E’ la luna, è il mare, è la spiaggia degli antichi. Più vado avanti negli anni e più questo pensiero mi prende, qualche volta mi infila in testa una punta di struggimento: quante generazioni, proprio lì, hanno udito in silenzio il silenzio, quante ne hanno contemplato incantate il teatro naturale, quanti amori vi hanno trovato poesia sufficiente a giurarsi il tempo, e a chiamare nuove generazioni pronte a udire lo stesso infinito silenzio, nei secoli dei secoli.
Poi naturalmente, quando scocca la mezzanotte, arriva il karaoke. A quell’ora Cenerentola doveva tornare a casa, qui inizia la baldoria. Ma per fortuna già sei vaccinato da ore di quella poesia e di quei pensieri. Giusto che ora gli altri, specie i più giovani, si godano la loro civiltà. Eppure anche nell’ora della baldoria qualcosa di bello si offre alle tue rimuginazioni erratiche. La musica e le parole vengono infatti da lontano, i canti adolescenziali sono riconoscibilissimi, non sono rumori indistinti, spesso sono gli stessi canti tuoi da adolescente, vedi un po’ la potenza musicale degli anni sessanta e settanta. Insomma, distingui dalle voci che arrivano sia le parole sia l’età di chi canta, anche se tutto avviene molto lontano. E pensi che allora è vero che il vento porta le parole, i sussurri perfino. Esiste, può essere esistito il meraviglioso “vento dell’est” (anni sessanta anche lui, ascoltatelo subito), cantato da Gian Pieretti (foto) e composto da Ricky Gianco. Esiste, soprattutto, il vento della storia che ti restituisce le parole di chi non c’è più, e te le porta da molto lontano…Vedi un po’ che cosa ti viene di pensare passeggiando la sera in un villaggio calabro…
P.S. Anche in questa immersione contemplativa non dimentico però di segnalare e allarmare gli spiriti liberi dei blogghisti: vedetevi l’indecente vicenda della mongolfiera intestata al clan Buscemi a Valenzano (Bari), vedetevi la vicenda -per fortuna soprattutto virtuale ma non insignificante- delle minacce a Klaus Davi per le sue inchieste calabresi (non “calabre”…).
Nando
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