Francesca, mamma felice con il piacere di cantare (benissimo)

Rivachiara. In questa specie di villaggio gallico sullo Jonio calabro alla sera tutti cantano. Anche mentre chiude la stagione. Anzi, soprattutto ora: perché i turisti se ne vanno e restano i fondatori del villaggio, che si conoscono da generazioni e che mostrano una maggiore tolleranza reciproca per le proprie passioni musicali. Così si riuniscono a decine nelle case e nei giardini più ospitali. Chi passeggi nei vialetti tra le case a due piani, separate solo da una parete (al mattino un cucchiaino di caffè fa rumore a un isolato di distanza), sente giungere cori da ogni angolo. Non c’è nemmeno più bisogno di qualcuno che sappia suonare la chitarra, ormai. Basta il computer, bastano le tracce delle canzoni. Su quelle ritrovano smalto le riposte ambizioni canore di un dì lontano o si scatenano quelle che oggi scalpitano per una chiamata televisiva. Le prime fanno più tenerezza. Di là Battisti, di qua il ragazzo della via Gluck o i Dik Dik, da lontano c’era un ragazzo che come me. Sessantenni, settantenni, ripescano scampoli di giovinezza in quelle note che fecero amori e segnarono un tempo. Nulla in inglese, nemmeno “Imagine”, perché forse non è cosa, quella generazione non viaggiava come oggi. Si canta quel che si mandò a memoria allora. Forse non fa fine ma non è nemmeno trash.

A un certo punto da lontano, attraverso la pineta, si sente una voce femminile. Diversa dalle altre. Alta, potente, sicura. Giovane, si direbbe. Intona canzoni più vicine, sembra canti la Nannini, non si distinguono bene le parole, si capisce però che è dieci spanne sopra gli altri. Indovina passaggi difficili, impennate di toni, sembra una cantante “vera”. Dev’essere Francesca, dice una signora. E spiega: è la nuora di Franco. La curiosità è molta, il piccolo gruppo va verso la casa ospitale di Franco. La voce non c’è più. C’è un giardino che pullula di bambini, di parenti, metri di bicchieri di carta su lunghe tavolate che hanno esaurito da tempo la loro funzione. E’ mezzanotte. Su un lato i microfoni, il computer e gli altoparlanti, ormai conquistati da cantanti da zecchino d’oro in versione X Factor. Poi la voce spunta: è una bella e giovane signora sui trenta, con due bambini al seguito, che offre pezzetti di crostata agli ospiti. I quali, me compreso, chiedono ciò che non si dovrebbe mai: ci fa sentire una canzone? E’ tardi, e lei ha già dato. Ma la signora annuisce gentile. Uno sguardo di intesa con i parenti e va al microfono. Solo che la tecnica è matrigna. I fili non funzionano, il computer un po’ gracchia, sembra stanco pure lui, il microfono è sfiatato.

La signora fa tutto da sola. Non può stare in piedi, deve regolarsi il computer ogni secondo. Canta da seduta. Pezzi difficilissimi, Pino Daniele, Mina e Mia Martini. Non si sa come possa, ma con naturalezza inanella virtuosismi, doma tutte le tonalità, gli autoinvitati si guardano in faccia, è di una bravura straordinaria, per favore un’altra. Dal villaggio gallico nessuno protesta. Lei riprende con santa pazienza, non lo fa evidentemente per sentirsi elogiare ma per una forma di cortesia. A un certo punto le scala la gamba e le si siede silenziosamente in braccio un bimbino, lei gli prende la testa e lo accarezza mentre continua a cantare, che deve essere la sua seconda natura. Le casse recalcitrano, mica è una sala di incisione, d’altronde. A quel punto chiunque smetterebbe. Arriva pure una bimba, e simmetricamente compie l’operazione riuscita al più piccolo coetaneo. Dà la scalata alla cantante e le si siede in braccio dall’altra parte. E’ la figlia Manila. Il giardino nel frattempo si è svuotato, gli abitanti del villaggio paiono essere del tutto abituati alla voce morbida e potente, la trattano né più né meno come un elemento del paesaggio. Un’altra bambina più grande, una nipote, le si va a piazzare accanto, piange e protesta perché vuole cantare lei, X Factor è alle porte. L’ultima canzone e poi il saluto gentile coi due pargoli per mano. Francesca aiuta a sparecchiare.

Chissà se da ragazza ha mai pensato di usare altrimenti quella voce stupenda, se ha potuto coltivarla. Una signora commenta: non c’è niente da fare, le mamme devono rinunciare ai loro talenti. Soprattutto le mamme che vivono a Catanzaro, aggiunge un’altra. Sembra senso comune, banalità del bene. Eppure è vero, a talenti uguali non corrispondono opportunità uguali. Ma questo lo pensano gli ospiti. Francesca Mazza di Catanzaro, invece, appare felicissima di fare la mamma. La musica, la voce che vola dieci spanne sopra, è solo un hobby. E’ la sua vittoria.
(scritto sul Fatto Quotidiano del 3.9.2016)

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