Sabrina, sociologa precaria. L’orgoglio della sua terra e della “dignitudine”

A vederla sembra un’egiziana. Forse figlia di antichi meticciati saraceni, Sabrina Garofalo è una giovane calabrese con un’idea indistruttibile: riscattare la sua terra. Idea ardita e bella, peccato non faccia moda. Per fare notizia i calabresi onesti devono subire intimidazioni e avere la scorta. E invece ci sono anche quelli come lei. Che lavorano sui fatti, e provano a ricomporli in narrazione scandalosa. Di quel che veramente succede, ogni giorno. Sabrina è una trentenne che di mestiere fa la sociologa come bisognerebbe farlo. La realtà alla radice di tutto, che scuote e interroga il pensiero. Non il contrario.

Vuole studiare e capire la condizione della donna in terra di Calabria. I sociologi direbbero con orribile espressione che fa studi “di genere”. Ma sotto il suo microscopio sociale passano casi che smuovono il sangue. Come quello di Annamaria, la ragazza offerta dal giovane boss in pasto ai propri accoliti. Contravvenendo allo stereotipo della gelosia mafiosa, della intoccabilità della donna del capo. Toccabile eccome, quella donna, anche se è quasi una bambina, se il capo per confermarsi tale vuole fare un regalo alla sua banda. “Lo capisce? La ragazza come un oggetto. Ma non l’oggetto che ti è caro, di cui si è gelosi, come nella letteratura tradizionale. Di più: una cosa che fai usare generosamente agli altri, tanto è tua”. Sabrina si scalda al pensiero e ti infila nei suoi racconti portandoti passo passo in un inferno quotidiano. Piccole, sconosciute vicende che dovrebbero far fremere chi governa queste terre e azzerare ogni retorica. La microfisica del potere che si spande per i paesi, nelle vite familiari, che porta poi alle storie che lasciano il segno, gli stupri di gruppo o le testimoni di giustizia condotte alla morte da madri o fratelli.

Sabrina studia, raccoglie materiale di ricerca, ha lanciato anche con una sua coetanea, Ludovica Ioppolo, il curioso concetto di “dignitudine”, con cui ha titolato appunto un libro di storie sull’ “onore”. Ma è anche direttamente impegnata sul campo. I movimenti ambientalisti contro le speculazioni dell’eolico nel cosentino, congegnate e dominate, neanche a dirlo, dalla ‘ndrangheta. La difesa dei beni confiscati, la lotta contro l’arroganza dei boss, decisi a non piegarsi all’idea che lo Stato possa togliere loro qualcosa. Gli incontri nelle scuole, il sostegno alle esperienze dei testimoni di giustizia, di chi si è ribellato agli incendi del negozio, alle pressioni che mozzano il fiato. I viaggi nei paesini per sensibilizzare; ancora ieri a Lappano, nemmeno mille abitanti alle pendici della Sila. E la ricerca, all’Università della Calabria di Cosenza, o il neonato corso di sociologia all’università Magna Grecia di Catanzaro, che le è stato affidato da poco a contratto: “Ed è un’esperienza bellissima, lo vedi che i giovani vorrebbero una società diversa, sono una sessantina, spesso vengono dai paesini, vivono in una regione che non dà lavoro ma cercano lo stesso di costruirsi un futuro, e un futuro pulito. Io che faccio? Parto dai classici e arrivo a questa terra, alla sua sfera pubblica, alla memoria, alle vittime. E ai nostri emigrati, per decostruire l’immagine dello straniero. Un po’ imparo con loro. Come si fa a non impegnarsi?”.

I ragazzi vogliono sapere dei problemi “di genere”, e poi di mafie e poi ancora di emigrazione. Ovvero il pane di Sabrina, che iniziò da studentessa con una tesi sulla partecipazione delle donne in Palestina, e nel 2002 si gettò a capofitto nell’attività associativa e poi vinse un dottorato di ricerca con un progetto sui percorsi delle donne in terra di confini. Migranti e condizione femminile in Calabria. Sempre le donne, comunque, perché lì la porta il cuore (“dottora di ricerca” si definisce) e lì porta l’insegnamento di Renate Siebert, la sociologa che da Cosenza ha formato per anni una nidiata di ricercatrici, di cui lei è oggi la più giovane mascotte. Donne anche in “Messaggi nella bottiglia”, scritto dal confine di Pantelleria. Donne sul blog che ha appena aperto. Donne migranti nella borsa Erasmus che oggi la mantiene. “Già, una borsa dopo l’altra. La precarietà della ricerca. E’ una questione politica, sa? E poi in Calabria ci sono temi su cui fare ricerca diventa molto complesso, dici donna e hai immediatamente davanti il più maschilista dei poteri, la ‘ndrangheta. Cose che è meglio non toccare”. Sabrina, saracena in lotta sulla prima frontiera dell’Italia, è arrivata a Lappano. “Di che cosa parlerò? Dell’onore delle donne, naturalmente; e della dignitudine”.

(Scritto sul Fatto Quotidiano dell’ 8.10.16)

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