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A che serve studiare? Malinconiche riflessioni a margine di queste settimane
Questo il testo della mia rubrica del lunedì mattina su Radiopop (ore 10.30).
“Oggi vorrei proporvi un interrogativo un po’ scomodo, che mi inquieta da qualche tempo ma su cui mi arrovello soprattutto da alcune settimane: a che serve studiare? A che serve, voglio dire, se non si impara a riconoscere i propri diritti, se lo studio non aiuta a difendersi dal potere e dal prepotere, se non insegna la dignità? In fondo la mia generazione è cresciuta con l’idea che tanti problemi del nostro paese -il basso senso delle istituzioni, un’idea precaria della libertà- nascessero dall’analfabetismo diffuso, dal fatto che tanti bambini e ragazzi non andavano a scuola. E che per questo non fossero in grado, una volta cresciuti, di perseguire il proprio bene, predisposti com’erano a inchinarsi al più forte. Ricordate quanto si impegnò in questa direzione la sociologia militante di Danilo Dolci, che da Partinico gridava all’Italia del benessere la povertà e l’ignoranza dei bimbi di Trappeto negli anni cinquanta?
Poi soprattutto per la straordinaria lezione di don Lorenzo Milani (in foto) ci siamo abituati a pensare che il grande vaccino delle democrazie, ciò che le preservava dagli impulsi autoritari, stesse negli anni che ogni futuro cittadino dedicava alla propria istruzione. E invece oggi dobbiamo arrenderci alla constatazione che così non è. Persone che hanno studiato, a volte anche per due decenni, rivelano un pensiero volatile; le loro intelligenze possono essere trascinate da ogni vento della storia come aquiloni. Avere studiato serve magari a usare parole forbite e citazioni colte, ma non a cogliere il nocciolo delle verità sociali, a individuare le minacce che avanzano sotto mentite spoglie. Non dà, in definitiva, il senso profondo degli accadimenti. Invece di insegnare la storia autorizza a viverla come un gioco irresponsabile.
Perché ceti e paesi istruiti, insomma, possono farsi affascinare ciclicamente da imbonitori e pifferai magici? Questo è l’assillo di chi pensa, come me, che l’uguaglianza sociale, origine e misura di democrazia, stia anzitutto nel diritto al latte e alla scuola. Ma forse la risposta all’assillo sta proprio nella grande esperienza di don Milani. Il quale, a ben rifletterci, non pensava a istruire formalmente. Ma concepiva i programmi scolastici dei suoi ragazzi di Barbiana, figli di contadini e di operai, in modo tale che imparassero i loro diritti sulle buste paga dei genitori, che si formassero un giudizio critico leggendo i giornali, che confrontassero i precetti dei libri con le loro vite. Pretendeva che imparassero le parole non per nobilitare il servaggio ma per difendere meglio la propria libertà dagli imbrogli dei più forti. Don Milani, formava, non istruiva soltanto. E oggi appunto mi appare grande il bisogno di formazione critica, di formazione alla libertà. Buona settimana a tutte, buona settimana a tutti.”
(apre e chiude “The River”….)
Nando
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