Natale Pargoletti. La classe operaia, il paradiso e la memoria

La deferenza operaia. Quel rispetto educato che non è sottomissione. Ma è solidarietà e disciplina sociale insieme, e si imparava nelle grandi fabbriche di una volta. Natale Pargoletti è il ritratto di quel grande patrimonio ormai così raro. Glielo riconosco di istinto nell’espressione del viso, nel portamento, nelle prime parole, quando mi viene ad accogliere alla stazione di Busto Arsizio. E’ magro, quasi scavato, gentile, compreso del ruolo che sta svolgendo. E’ lui il cuore organizzativo di una delle più importanti manifestazioni cittadine: la commemorazione della deportazione degli operai della commissione interna della Ercole Comerio, una delle più grandi fabbriche del nord della Lombardia, meccano-tessile, simbolo dell’industria bustocca. Era il 10 gennaio del 1944 quando i nazisti varcarono i cancelli urlando ordini in tedesco per disorientare le maestranze. Erano giorni di agitazione operaia. Vennero fatti all’altoparlante i nomi dei rappresentanti sindacali. Vittorio Arconti, Giacomo Biancini, Arturo Cucchetti, Ambrogio Gallazzi, Alvise Mazzon, Guglielmo Toia. Dovevano presentarsi sul piazzale. Se qualcuno si fosse ribellato ci sarebbe stata la rappresaglia. Le truppe d’occupazione tedesche volevano piegare la resistenza operaia al Nord. Avevano già fatto la stessa cosa cinque giorni prima alla Franco Tosi di Legnano, ma la commissione interna della Comerio era rimasta al suo posto. A difendere le rivendicazioni di chi era alla fame. Colpisce leggerle oggi. Gli operai chiedevano un paio di scarpe dagli industriali calzaturieri, un pacco di vestiti da quelli tessili, viveri dagli altri. E contestavano il sindacato fascista che pensava più alla fedeltà politica che ai loro bisogni.

Arconti, Cucchetti e Gallazzi non sarebbero più tornati dai campi di concentramento. Mazzon sarebbe tornato per morire di stenti. Ogni anno quell’atto di ferocia viene ricordato da tutta la Comerio, ora diventata fabbrica di macchine di precisione per materie plastiche, con stabilimento a Castellanza. Pargoletti è in azienda da 37 anni, figlio e nipote di operai, suo padre lavorava in fonderia, e sa che cosa significhi quel giorno nella memoria cittadina e dei lavoratori. Parla con amore di quegli operai. Li chiama, senza averli mai conosciuti, “i miei colleghi” e decanta la fabbrica in cui il rispetto viene praticato anche dai “padroni”, i Comerio giunti ormai alla quarta generazione. “Sono dei principali speciali. Chi entra in fabbrica e fa il suo dovere non lo manda via nessuno. Io sono un privilegiato rispetto a quello che succede all’esterno”. Mi dicono suoi colleghi che ha avuto un incidente sul lavoro e che per alleggerirgli le mansioni è stato spostato negli uffici. Ma lui di quell’incidente non fa cenno. Appena una parola di sfuggita sulle sue passioni calcistiche. Ha la testa solo alla riuscita della commemorazione, secondo per secondo. Saluta le autorità, presenta uno all’altro, crea il clima giusto per tutti, i gonfaloni, il sindaco, il sindacato, gli assessori, gli operai andati in pensione, i parlamentari. Poi fa da regista: le corone al monumento su cui sono incisi insieme ai nomi dei deportati anche i nomi dei partigiani di Busto, il “Silenzio” suonato da un bersagliere, e la grande cerimonia laica, prima della messa. L’incontro nella sala conferenze del Museo del tessile.
Prende la parola in mezzo a centinaia di persone di ogni ordine e grado, accanto al sindaco Emanuele Antonelli. Comunica la sua commozione.

Parlando si identifica con la sua azienda, usa parole antiche: “Noi rappresentanti della ditta Comerio Ercole, la nostra azienda” Dice che “noi questi eroi non li dimenticheremo”, rivolgendosi anche ai loro familiari presenti in sala. Il colpo d’occhio è stupefacente. La sala ospita centinaia e centinaia di persone, venute a ricordare quegli operai come una ferita indimenticabile nella vita della città, dall’Anpi alla amministrazione di centrodestra, i Comerio in prima fila. Non è facile vedere una grande comunità ricordare così compattamente un suo dramma. Sono passati 73 anni ma tutto conserva una attualità inimmaginabile. Non sembra nemmeno di essere in un Paese diviso e ultimamente ancor più diviso. La famosa società liquida qui appare cementata di valori e sentimenti. Altro che oblio. Natale Pargoletti, tessera Cgil (“da tre generazioni, e ne sono orgoglioso”), ne è l’officiante autorevole, alla fine i suoi “colleghi” lo applaudono con gratitudine, gli altri con ammirazione. La classe operaia non va in paradiso, ma meriterebbe di andarci.

(scritto sul Fatto Quotidiano del 21.1.17)

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