Cronache vere di giovani veri. Meditate gente, meditate

A volte arrivano le infilate. Che scuotono il pensiero e rimestano gli interrogativi. Un’autogestione in un liceo-bene del centro di Milano. Un gruppo di ragazze (più ragazzo) liceali in esperienza di scuola-lavoro. Un’assemblea di scuole superiori in Valtellina. Un laboratorio universitario su etica pubblica e spirito dei tempi. Tre giorni e si è costretti a qualche riflessione. La prima è che questo paese non lo si conosce mai abbastanza. Stai fermo mezzo giro e scopri il cambiamento. La seconda è che l’idea che i giovani assistano inerti al disastro che investe le loro vite è proprio da rivedere. La terza è che l’idea che i giovani vogliano rottamare il passato sta nella testa di chi è già vecchio dentro.

Liceo Berchet, autogestione. In centoventi scelgono la mafia. C’è con loro una brava professoressa, ora l’autogestione si fa con un docente. Ha portato una sua classe in Sicilia, anche davanti alla stele di Capaci, racconta i commenti dell’autista del pullman ed ecco illustrata a meraviglia la cultura mafiosa. Resto ammirato dalla partecipazione di molti, dalle domande di Carlotta e Matilda e Alessandro, il bisogno di capire come si possa reagire senza far gli eroi. La professoressa Pellegatta chiede  a qualche gruppuscolo di distratti di meritarsi l’autogestione stando più attenti. Una volta non capitava. Potevano esserci anche dieci insegnanti in regolare assemblea e dovevi domare tu la folla adolescente. Si continua a dire che ormai si fa antimafia per non stare in classe, e invece c’è più serietà di prima.
Le ragazze (e il ragazzo) del progetto scuola e lavoro sono venuti invece in visita all’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’università di Milano. Giada, Letizia, Lara, Alice, Erica, Elisa, Isabella. Più Pietro. Ore intere di domande ai ricercatori. Che ricerche si fanno, perché proprio quelle, quali sono i problemi. Pongono il tema della legalità, che cos’è, tirano fuori il concetto del rispetto, la legalità sta lì, vogliono fare legge, alcune si sognano magistrate, vogliono venire a lezione.

A Morbegno, in bassa Valtellina, all’Auditorium Sant’Antonio, ci sono tutte le scuole, organizzano un paio di insegnanti e un prete alto e dalla barba ieratica che sembra Shel dei Rokes. Titolo: “Contro le mafie per costruire una cittadinanza responsabile”. Centinaia di ragazzi e non vola una mosca. Solo le grandi città? No, anche i comuni valligiani di 12mila abitanti. C’è anzi chi, dalla Valtellina, vuole andare fino a Locri per la manifestazione di Libera del 21 marzo. Chiedono perché bisogna diffidare delle campagne elettorali faraoniche. E di nuovo come non fare gli eroi. Un preside ricorda tutti gli episodi di ‘ndrangheta accaduti nella valle e che hanno avuto per complici professionisti del posto. Si dice che il movimento interessa le scuole d’élite, che chi ha il problema del lavoro se ne frega, quelli delle professionali pensano ad altro. Invece in prima fila e tra i più vogliosi di sapere qui a Morbegno ci sono quelli dell’Istituto agrario. Le panzane, le panzane…

E poi il laboratorio. Gli studenti vedono una lunga intervista a Carlin Petrini, l’etica che nasce dal cibo e la politica dai piccoli comportamenti personali, le biodiversità, il rifiuto dell’uomo a una dimensione. Parole potenti, che impattano. Uno studente ha un sobbalzo di condivisione quando sente nominare Marcuse (ma non era un vecchio arnese?), poi ripreso nella discussione. Un altro studente contesta l’idea di un’allieva più adulta che i giovani oggi non si ribellino. Non c’è bisogno di scendere per strada, dice, perché abbiamo raggiunto la maturità per fare da soli. Ricorda le start-up, i gruppi e le associazioni universitarie, cita Libera, spiega che dire “i giovani non fanno niente” “non è di questo tempo”, non ci sarà un altro ’68, non si fanno le manifestazioni ma al liceo nelle autogestioni (ecco il mezzo giro perso…) si discuteva di tematiche che non ci saremmo mai aspettati. Una studentessa parla degli spazi conquistati mentre fuori prendono in giro con i parlamenti dei giovani (lei c’è stata e racconta). Un’altra ricorda l’assenza di riferimenti, non ci sono più Pertini e Berlinguer (ma non erano ferrovecchi?), chiede che la si smetta di colpevolizzare i giovani, dovrebbero darsi da fare tutte le generazioni.
Penso alla teoria del fare da sé, degli spazi conquistati, delle prese in giro. Difficile non riandare all’80 per cento dei no dei giovani al referendum. Si vedeva un’Italia, ne è spuntata un’altra. Accusata di non darsi da fare. E invece si stava dando da fare.

(Scritto sul Fatto Quotidiano dell’11.2.17)

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