Calvello, super-tesoriere immaginario. La politica e la rivincita del telefono senza fili

In questo articolo tutto è vero tranne la notizia fondamentale. Il protagonista infatti non è stato nominato tesoriere nazionale di Articolo 1 ma tesoriere provinciale (milanese). Come mai ho dato una notizia sbagliata? Perché sia io sia il mio interlocutore avevamo i telefonini che nelle rispettive località prendevano a singhiozzo. “Nazionale” ha la stessa desinenza di “provinciale”. Anche quando chiedi la conferma di quel che hai (con sorpresa) capito. L’altro non sente, tu sei convinto che ti abbia sentito, chiedi conferma, la conferma arriva su quello che lui ha intuito. E’ stata insomma la rivincita di quello che, quand’ero ragazzo, si chiamava “il telefono senza fili”. Una gag. Mi sono scusato ma trovo lo stesso delizioso l’equivoco. E anche la nostra politica, alla fine, ritrova una sua rigorosa “normalità”. E lo capirete leggendo…

Giorgio Calvello. L’ultima cosa che potevo immaginare era che un partito politico, un qualsiasi partito politico, lo nominasse tesoriere nazionale. E quando avrete letto capirete perché. Napoletano di nascita e di cuore, Giorgio Calvello è un gentiluomo che si sbaglierebbe a definire anziano. E’ semplicemente “ottuagenario”, come spiega lui stesso. Decidano poi gli altri in che categoria anagrafica arruolarlo. Da liceale frequentava la casa di Giorgio Amendola, di cui andava a sentirsi i comizi sotto le bandiere rosse. Dirigente dell’Isveimer (Banco di Napoli) ai tempi del potentissimo Ferdinando Ventriglia, ha coltivato la storia della sua città con letture e ricerche. Consiglia agli amici “Il resto di niente”, saga disperata della Napoli giacobina. Negli anni settanta viene trasferito a Milano, con famiglia al seguito. E in coincidenza con la pensione, nel 1995, fa il salto in politica. Sposa il progetto dell’Ulivo, a cui lo invita Romano Prodi, a lungo suo consulente amichevole per ragioni di lavoro. Diventa coordinatore dell’Ulivo di Milano, allora capitale e bandiera del centrodestra. E’ anzi lui ad aprire la sede cittadina del movimento in viale Majno, è a lui che vengono indirizzati i simpatizzanti e i volontari in cerca dei primi contatti.

Ora tutti penseranno: e così, con la vittoria ulivista nel ‘96, è iniziata la sua carriera politica. Sarà sicuramente diventato deputato, o consigliere regionale, o almeno consigliere comunale. Nemmeno per idea. Calvello è certo considerato da tutti una brava persona, l’esatto contrario dell’arrivista o dello spicciafaccende, ha l’immagine giusta per garantire la “discontinuità”. Ricordo un’amica dei verdi che me lo decanta: “vedessi che bella persona che coordina la sede dell’Ulivo”. Il movimento ha però bisogno di persone più famose, di immediato impatto pubblico, e dunque sceglie un gruppo di garanti di valore, tra cui lo stesso Valerio Onida, nominato poco dopo alla Corte Costituzionale. Comprensibile. Il fatto è che incominciano ad avanzare anche persone che non hanno titoli se non una certa praticaccia politica. Uomini “esperti”, dalle relazioni collaudate, anche personaggi un po’ spregiudicati. Naturalmente se c’è bisogno di una persona al di sopra di ogni sospetto, Calvello è subito tra i papabili. Purtroppo non ce n’è bisogno spesso. Arrivano le bufere della politica. Cade Prodi, per la gioia di Bertinotti, D’Alema e Cossiga. Nasce il partito dell’Asinello, dove Calvello segue fedelmente il Professore, sempre con oneri ma senza onori. Senza onori anche quando nasce la Margherita, nel 2001, o quando nasce il Pd, chiunque lo diriga.

E’ vero, il nostro non è un leader o uno statista. Ma “solo” un signore che sa di economia e di letteratura, colto, per bene, e che capisce di politica, pedigree non in linea con quello del politico medio. In vent’anni non mi ha però mai confessato, per questo suo destino, un qualsiasi dispiacere. Anche perché ha sempre avuto un bellissimo diversivo. Anzi, una missione di vita. Portare il suo Ettore, il figlio bisognoso di carrozzella e cinefilo appassionato, a tutti i festival del cinema sparsi per l’Italia e non solo. Saint Vincent, Locarno, Venezia, Roma, Taormina…

L’ultima battaglia l’ha fatta per il referendum costituzionale. Schieratissimo per il “no”. Dopo il voto mi ha confessato perché non s’era mai fatto sentire: “Vuoi sapere la verità? Perché avevo paura di sentirti dire che anche tu eri per il sì. Per me sarebbe stata una delusione troppo grande”. L’altro giorno mi ha telefonato per comunicarmi la notizia a suo modo clamorosa. Se ne è andato con Pier Luigi Bersani (foto), Articolo 1. “E sono stato nominato tesoriere nazionale”, ha aggiunto con orgoglio ed ironia. Tesoriere nazionaleeee? Se soltanto ripasso la storia, turbolenta e per tanti aspetti incolpevole, dei tesorieri di partito, non ci posso credere. “Io lo faccio”, ha spiegato, “ma gli ho pure ricordato che sono un ottuagenario. Così gli ho detto che metterò per iscritto delle regole che impediranno a chiunque venga dopo di me di rubare un solo euro o di incassare una sola tangente”. “Quanto ai destini politici chissà come finirà, ogni tanto rievoco ridendo ‘La spigolatrice di Sapri’: ‘eran trecento, giovani, forti e sono morti’. Ma scherzo, per me vale la pena”. Chissà però intanto se gli accetteranno quelle regole. E soprattutto se altri partiti vorranno darci un’occhiata. Purtroppo occorre che le cose vadano male perché si chiamino le brave persone. Anche se hanno ottant’anni suonati. Ma se i giovani sono svelti di mano…

(scritto su Il Fatto Quotidiano del 19.8.17)

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