Qui “Terre joniche”. L’antimafia silenziosa di quelli di Isola di Capo Rizzuto (lezione per i ciarlatani…)

In certi posti bisognerebbe andarci, prima di mettersi a sentenziare sugli “affari” che si fanno sui beni confiscati alle mafie. E, fermo restando che qualcuno ci ha lucrato per davvero, occorrerebbe venire a incontrare Umberto Ferrari, l’infaticabile animatore della cooperativa “Terre joniche” di Isola di Capo Rizzuto (foto). Ascoltarne la storia, vederlo all’opera con i suoi collaboratori, incontrare le facce fanciulle dei ragazzi venuti dall’Emilia e dal Veneto a dargli una mano. E studiare le sue reazioni davanti al nuovo incendio che ha mandato in fumo (letteralmente) anni di lavoro.
Già, è successo a Ferragosto. Otto ettari devastati. Umberto potrebbe giocare la parte dell’eroe, presentarsi come l’avanguardia dell’antimafia nella terra degli Arena, lo storico clan di queste parti, invocare la solidarietà di tutti, dar vita alla leggenda delle “Terre joniche”. E invece non lo fa. Per serietà. Ragiona asciutto, evitando di eccitare le emozioni. “Qui è così. Non è stato un attentato diretto contro di noi. Basta e avanza il silenzio che ci circonda. All’origine di tutto c’è una grande discarica, realizzata abusivamente in un vallone. Un imbecille le ha dato fuoco, per farla sparire, contando sul vento. E il vento ha fatto quel che mai era successo, perché un precedente minore lo avevamo avuto quattro anni fa. Otto ettari e un uliveto, non nostro. Ma questo ti dice in che situazione operiamo, ti racconta il degrado, l’incertezza assurda”.

Umberto è di Parma, ma ama queste terre. “Degrado” è una parola che gli fa male, in fondo. E’ venuto qui, a Cutro, per amore. Sedici anni fa. Per seguire la ragazza calabrese conosciuta all’università, scienze naturali. Facendo un percorso inverso a quello che funziona in questi casi. Iniziò lavorando in una cooperativa di educazione ambientale, poi nel 2013, dopo una lunga incubazione, è arrivata questa nuova cooperativa sostenuta da Libera. Terre confiscate agli Arena, ovviamente, che da qui estendono il loro impero fino alle Castella, la splendida attrazione turistica sul mare.
“Dispiace”, aggiunge, “perché dentro c’era il lavoro di anni. Eravamo riusciti a realizzare un grande spazio dove venivano i bambini delle scuole a imparare le specie botaniche, a riconoscere le erbe aromatiche, le essenze e i profumi. Dove la ritrovano questa opportunità? Ci davano anche una mano, era un modo per rendere familiare e utile per la collettività il nostro lavoro. Qui non abbiamo tante relazioni. Non giochiamo in casa”. Questo lo si capisce al volo girando per alcuni dedali di Isola. Nessuno sa o vuole dare indicazioni su come arrivare alla cooperativa.
Raffaella Conci, la presidente, e che ha una sua storia torinese, prova a spiegare i danni: “Intanto ci sono le piante officinali, quelle che avevamo messo con il progetto di giardino botanico del comune; erano la ricchezza scientifica della cooperativa, non c’è più nulla. Non c’è più nulla nemmeno delle piante arrivate con la campagna ‘dona un albero’ di Libera. Donate negli anni in occasioni felici, un matrimonio, un battesimo, o per ricordare persone o le stesse vittime di mafia, ciascuna con le targhette ricordo. Era nato un giardino della memoria. Poi quelle che abbiamo piantato noi, querce bellissime, alloro, essenze di siepe…”.

A pianterreno della cooperativa, dopo il lavoro, è in corso un incontro di formazione. Ci sono gruppi provenienti da Mirano e da Rio Saliceto, un paese vicino Correggio, con Nicoletta, la giovane assessora alle politiche sociali che accompagna studenti e insegnanti venuti con un bando della Regione Emilia Romagna. Imparano la Calabria, ne incontrano i testimoni. C’è anche un ragazzo di Reggio Calabria “alla prova”, secondo il linguaggio della giustizia minorile, che ha voluto fortissimamente venire.
In questi giorni sono loro ad aiutare Umberto e Raffaella. “Che cosa dobbiamo fare? Lavoriamo con pazienza”, dice Umberto, semplice come fosse bere un bicchier d’acqua: “rifaremo tutto”. “Per ora”, aggiunge Raffaella, “dobbiamo ripulire tutte le macerie, tutto il materiale bruciato, la serra, gli aranci. Poi quando inizieranno le piogge faremo le prime piantumazioni”. Altri giovani verranno fino a ottobre, specie dalla Toscana, in Calabria la cosa non usa molto. Poi “Terre joniche”, fuori dagli affari e per serietà anche dalle leggende eroiche, riprenderà il suo lavoro dal sapore “friulano”, modesto e silenzioso. Nel tramonto infiammato e sotto una sottile falce di luna penso che in realtà ci sia qualcosa di eroico proprio in quello che stanno facendo.

(scritto su Il Fatto Quotidiano del 26.8.17)

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