Qui Fino Mornasco. Rossella, una consigliera comunale contro l’omertà

Giuseppe Napoli, il sindaco, originario di Giffone. Domenico Alvaro, il vicesindaco, nato a Giffone. Simone Pisaniello, il presidente del consiglio comunale, con la madre di Giffone. Tre giffonesi, ci mancherebbe. Tutto naturale. Il fatto è che non siamo a Giffone, provincia di Reggio Calabria. Ma dall’altra parte d’Italia. Precisamente a Fino Mornasco, poco meno di 10mila abitanti in provincia di Como. Terra di una resistente locale di ‘ndrangheta. L’operazione Crimine-Infinito non l’aveva trovata, quella di fine novecento sembrava sparita. Invece le indagini successive hanno appurato che era sempre lì, non se ne era andata mai. Nel frattempo è stata eletta in consiglio comunale una trentenne un po’ eccentrica per il contesto. Un’insegnante precaria, docente di storia e geografia del turismo in un istituto di Como, con il pallino della questione morale. Si chiama Rosella Pera. E’ intervenuta il 24 novembre agli Stati Generali dell’Antimafia promossi a Milano dal ministero della Giustizia. E ha fatto storcere qualche naso, dicendo secca che l’antimafia non può essere una bandiera. Noi dobbiamo essere semplicemente delle persone per bene, ha aggiunto. Oddio, si è detto qualcuno…Poi i dubbi sono stati spazzati via in pochi minuti, davanti a una denuncia appassionata che è stata in realtà un tipico, coraggioso esempio di antimafia.

La consigliera, lunghi capelli neri e grande frangia, deplorava la passività del suo paese, e in particolare della propria amministrazione, di fronte a un fenomeno che sta corrompendo la vita pubblica. I toni erano battaglieri, in linea con il sangue livornese (paterno; la madre è della Valtellina). Con un’immagine che spaccava tutte le altre: quella degli ‘ndranghetisti che ammazzano un ragazzo albanese e poi fanno un’allegra grigliata sul suo cadavere. Ne è nata un’operazione che ha portato all’arresto di diversi calabresi, tra cui un nipote del vicesindaco, anche se lui per altre ragioni, la grigliata non c’entrava. A Fino la mafia pesa eccome, al processo Insubria il pubblico ministero ha parlato di “un chiaro clima di intimidazione”. E lo stesso sindaco, racconta “La Provincia” di Como (7 maggio 2015), ha dovuto ammettere, scoppiando in lacrime davanti ai Ros dei Carabinieri, di essere stato condizionato dalla mafia nello svolgimento delle sue funzioni, di essere stato terrorizzato dai clan.

Perché? Perché lo ha consentito, perché non lo ha denunciato, e non si è ribellato in nome dei cittadini? chiede Rossella Pera affondando il coltello nella logica dei fatti. Racconta anche di un’operazione che non le ispira fiducia, un nuovo centro Esselunga, dice che ci sono prove logiche che gli appalti siano stati già decisi. E aggiunge che tutto il progetto sconvolge la viabilità, tanto che gli oneri che andranno al comune dovranno essere tutti usati per rimediare ai danni. Racconta che si è formato sulla questione un comitato di cittadini, ma che non hanno i soldi per adire le vie legali. E insomma questo suo attivismo proprio non piace a chi governa Fino Mornasco. Soprattutto non piace “a quelli di giù”, come si dice a Como, a quelli di Giffone, il paese reggino di nemmeno duemila abitanti che, come sempre accade, è andato a colonizzarne uno più grande al Nord. Un prefetto una volta le fece vedere quattro righe di un’intercettazione ambientale raccolta proprio in un bar di Giffone. E lì, a mille chilometri di distanza, gente che lei non ha mai visto diceva che a Fino bisogna togliersi dalle scatole “quella p…… socialista”.
“Ha capito? Comandano loro. Pensi che la processione di San Bartolomeo, il santo protettore di Giffone, vietata in Calabria per via degli inchini, l’hanno fatta qui a Fino, nella frazione di Andrate, e il nostro sindaco ci è andato”.

In paese non l’hanno presa bene, la sua denuncia. L’accusano di avere deturpato l’immagine della comunità. E hanno annunciato che per lei ci sarà la classica causa giudiziaria, tanto di moda tra i sindaci lombardi che vengono “da giù”, quelli che il dibattito politico con gli oppositori lo portano in tribunale. “Sembrava davvero che stessero provando a farmi dire che il sindaco è colluso”, racconta. “Mi diffamano. In campagna elettorale dicevano che ero sieropositiva, ora mi chiamano la cagna, anche per strada, ma io lo rivendico, io servo un cane da guardia che si chiama democrazia”. E poi, aggiunge, “io almeno sono una donna libera, gli schiavi sono loro, i mafiosi. Gente costretta ad andare sotto terra per mangiarsi le aragoste”. Oh, finalmente da quelle parti ecco una lombarda che si ribella per davvero.

(scritto su Il Fatto Quotidiano del 4.12.17)

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1 commento

  1. Pino Mandaglio

    Sono un sostenitore di Libera, vecchio militante di sinistra e questo articolo mi lascia sgomento!
    Conosco abbastanza bene le vicende di Fino Mornasco e qui si sono scritte delle cose sconclusionate, errori nelle descrizioni delle vicende, la bufala della processione già smascherata propinata dal giornale locale ( La Provincia di Como), taglio razzista dell’ articolo, ha immischiato i componenti del consiglio comunale in vicende con cui niente hanno da spartire, ma solo perchè di origini calabresi, addirittura per lei è una discriminante avere la mamma calabrese. Sono profondamente deluso da lei che per me era un mito. Secondo me le conclusioni sono due: o ha firmato l’articolo con le deduzioni della sua interlocutrice senza un minimo di verifica sui fatti e sulle persone e quindi come minimo dovrebbe chiedere scusa, oppure pensa che dall’alto della sua autorità, basta parlare di mafia e va tutto bene, anche buttare fango alla cieca sulle persone e sulle comunità, in questo caso a malincuore devo dare ragione a Sciascia sul professionismo sell’antimafia.

    Questo sotto è il link della bufala smascherata
    http://www.famigliacristiana.it/articolo/processione-emigrata-dopo-lo-stop-in-calabria-una-bufala.aspx

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