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Le madri più belle del mondo: quelle dei desaparecidos argentini e messicani. Da oggi laureate a Milano
Chissà se è vero che “son tutte belle le mamme del mondo”, come pretendeva un canto innocente degli anni del dopoguerra. Certo sono bellissime le madri che in ogni angolo del mondo chiedono giustizia per i loro figli. Senza rassegnarsi, senza inchinarsi davanti alle leggi dell’omertà o della paura, sfidando le reazioni di poteri feroci, tante volte complici o mandanti.
La storia contemporanea ce ne ha mostrate molte. Purtroppo e per fortuna. Con le fattezze bianche o indie, contadine o cittadine. Le abbiamo viste in Italia, a centinaia e centinaia, capaci di ribellarsi alla mafia e alla camorra. Ma ne abbiamo viste a decine di migliaia sotto altre latitudini, in tempi diversi. Le madri argentine, per esempio, che ebbero il coraggio di invadere la Plaza de Mayo al tempo dei colonnelli, battendo pentole e campanacci, in nome dei figli e anche dei nipoti, di cui portavavano sul petto le grandi foto. O le madri messicane, che reclamano di sapere qualcosa degli oltre trentamila desaparecidos che narcos e polizie hanno accumulato come mostruosa tenaglia in questo inizio di millennio.
La storia di Vera, per esempio, è una delle più commoventi e terribili, capace com’è di traghettarci in tre righe da un orrore all’altro del novecento. Perché Vera Vigevani Jarach nacque a Milano in una famiglia ebrea scappata in Argentina dopo le leggi razziali del 1938. L’Olocausto le portò via il nonno materno, la dittatura militare di Videla le ha ucciso dall’altra parte del mondo la sua unica figlia, Franca, militante nel movimento studentesco, sequestrata a 18 anni e sparita nel silenzio delle torture e dei voli della morte. Usava così, nella patria del tango, negli anni settanta: torturare gli oppositori e gettarli vivi dagli aerei, con il mondo che capiva e taceva, e si interessava all’Argentina palpitando per i mondiali di calcio.
Oppure Estela Barnes de Carlotto (in foto), a cui quella dittatura di assassini portò via Laura, la figlia, militante nella Gioventù Peronista e al momento del sequestro incinta di tre mesi. Quando il corpo venne ritrovato dopo un anno, Estela seppe con certezza che sua figlia aveva avuto un bimbo e da quel momento non smise di cercarlo. Di più, non ha smesso di cercare tutti gli altri bambini nati in prigionia, sequestrati dai militari e “regalati” successivamente in adozione ad altre famiglie, spesso quelle degli aguzzini o dei loro amici. Questa mamma coraggiosa oggi è presidente e voce delle Abuelas della Plaza de Mayo. Ossia di quelle nonne che fino adesso hanno ritracciato 127 nipoti. Uno di loro è Guido, il nipote di Estela, ritrovato dopo 35 anni di ricerche.
E poi c’è Yolanda Morán Isais, originaria dello stato di Coahuila, Messico settentrionale. Yolanda è la madre di Dan Jeremeel Fernández Morán, sparito il 19 dicembre del 2008 all’età di 34 anni, nella località Torreón, Coahuila appunto. I militari arrestati per la sua sparizione furono trovati morti in carcere. Da anni questa madre gira instancabile per il mondo, per svegliarlo dai suoi torpori. La foto del figlio che le copre il cuore, anche lei. Ma anche quella dei nipoti, a cui mette in bocca la domanda disperata: “Donde està mi papà?”. Quando racconta la sua storia sembra una specie di divinità davanti alla quale ciascuno smette di fiatare. Oggi è coordinatrice di Fundem (Fuerzas unidas por nuestros desaparecidos en México), Region Centro.
Ebbene, saranno queste tre donne a ricevere domani mattina, all’inaugurazione dell’anno accademico, la laurea honoris causa dall’Università Statale di Milano. La riceveranno in Relazioni internazionali. Insieme, simbolicamente. Per avere saputo raccontare ovunque il dramma e la violazione del diritto, il bisogno di giustizia e di speranza. Ambasciatrici di un paese universale che non riesce a farsi Stato. Artefici e tessitrici di un grandioso sistema di relazioni internazionali che vola alto su quello delle nazioni e se ne fa coscienza. La prolusione sarà di Enrico Calamai, il vice console che a Buenos Aires, tra il 1972 e il 1977, mise in salvo tanti oppositori del regime. Ilaria Viarengo, direttrice del Dipartimento di Studi internazionali, giuridici e storico-politici, spiegherà il senso di queste lauree “con l’anima”, che verranno conferite in un’aula magna strapiena dal rettore Gianluca Vago. Poi il pomeriggio l’incontro con la città e gli studenti. Chissà se ascoltando le storie e vedendo quelle rughe d’incanto, qualcuno ricorderà il verso bellissimo di Garcìa Lorca: “Ahi!/ come un arco di viola/ il grido ha fatto vibrare/ le lunghe corde del vento”.
(scritto su Il Fatto Quotidiano del 5.2.18)
Nando
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