Raffaele, pensionato con amore. Che regala poesia sulla rete

Ohi, la rete. Luogo di ribalderie e di tangheri grafomani…E invece vi si incontrano eccezioni di delizia. Io, ad esempio, mi imbatto da tempo in un signore più anziano di me ma che possiede l’innocenza dei fanciulli. Si firma “Raffaele Pisani appassionato di poesia e napoletano a Catania”. Che cosa ci faccia a Catania non lo so, ma immagino, data l’età assai matura, che vi conduca vita da pensionato. Che sia napoletano, però, questo è certissimo. L’altro giorno ha fatto irruzione nel mio spazio virtuale per San Valentino. Con una lettera aperta. Una pubblica dichiarazione d’amore per la moglie, tenera autobiografia. “Caro San Valentino”, si leggeva, “sono un vecchio scugnizzo nato 77 anni fa in un vicolo di Napoli che è stato la mia scuola e la mia famiglia, che mi ha protetto dai bombardamenti della guerra e mi ha dato qualcosa da mangiare quando nella mia umiliata città si moriva anche di fame, quando quel poco di pane che riuscivi a trovare era fatto con cento grammi di farina e mezzo chilo di segatura. Puoi immaginare la mia infanzia…  le profonde ferite dell’orrore della guerra… di tanta miseria… Ti assicuro, caro San Valentino, che te le porti dentro tutta la vita! Ma bando alle passate malinconie! A te, Santo e protettore di tutti gli innamorati, voglio presentare mia moglie Francesca”.

Andavo su e giù con gli occhi e non ci credevo. Intendiamoci, i riferimenti affettuosi alla moglie Francesca li avevo già incontrati nel corso di altre apparizioni. Ma quanto scorreva sullo schermo aveva un che di scandaloso, travolgeva le convenzioni su quel che a un anziano sia consentito dire. C’era una sequenza di frasi, ciascuna recante in apertura una grande lettera, di modo da formare alla fine il nome amato: Francesca. Funzionava così: “F” come Felicità senza confini. “R” come Rappresenti tutto quello che io sognavo, desideravo, speravo. “A” come Ancora…sempre e solo te, ancora per sussurrarti: ti amo…e ancora per dimostrarti tutta la mia gratitudine per avermi fatto ritrovare quel cuore bambino…Si arrivava in fondo con crescente stupore. E siccome si vive pur sempre in un mondo pieno di pregiudizi, un lettore qualunque pensava di avere a che fare con un personaggio decisamente eccentrico.

E invece quella storia sciorinata davanti a tutti, quella vicenda d’amore iniziata trentasette anni fa, il 23 maggio del 1981, riconciliava con la rete. Perché, per chi ha avuto la fortuna di leggerlo, “Raffaele Pisani appassionato di poesia e napoletano a Catania” è uomo di intelletto che viaggia con naturalezza tra società, politica e cultura. Credo sia uomo di sinistra, deluso come tanti, se hanno un senso i suoi rimbrotti scagliati come frecce verso il Matteo fiorentino. E’ amante di Eduardo e del suo teatro, mi sembra di ricordare sotto Natale qualche accenno al famoso, irresistibile dialogo sul presepio. Porta di sicuro negli occhi e forse anche nelle narici il golfo di Napoli, con i suoi venti e il profumo dei suoi flutti. Difensore appassionato del dialetto, e non solo di quello napoletano, a cui pure, un giorno, dedicò una lettera che ho conservato.
Mi conquistò il titolo, eco del grande Lucio bolognese. “Caro dialetto ti scrivo”, incominciava. Aggiungendo un’informazione che non avevo: “Il 17 gennaio è la giornata dedicata a te, ed io ti scrivo innanzitutto per dirti che da settantasette anni ti voglio bene perché sei stato ‘la prima lingua’ che ho parlato, che ho imparato nei vicoli e perché sei stato tu che mi hai avvicinato alla poesia e mi hai fatto vivere di poesia. Per questo ti voglio ringraziare, di cuore”. E aggiungeva: “E ti scrivo anche per dirti che non ho mai condiviso quanto diceva l’Unesco nel 2012 affermando che tu, straordinaria parlata napoletana, ti saresti estinto entro la fine di questo secolo. […] Per quel poco di esperienza che ho dissento del tutto, così come non ritengo di alcuna utilità la promulgazione di leggi che prevedano l’introduzione dello studio dei dialetti nelle scuole. […] Sono le poesie e le canzoni ‘lo scrigno’ dove ritroviamo vocaboli e detti della nostra storia e delle nostre radici”.

Era un autentico, splendido trattato. Chiuso da versi dialettali probabilmente suoi (“Voce d’ ‘a terra mia, voce sincera, ca saje purtà tutte ‘e penziere mieje p’ ‘e strade d’ ‘a poesia, a tte, stanotte…) e dedicati, credo, proprio a lei, Francesca. Francesca “acquerello dipinto dal sorriso di un angelo con i colori dell’arcobaleno, il volo delle rondini, la forza dell’amore…”.
Incredibile. E voi dite che in rete si trovano solo violenza e spazzatura?

(scritto su Il Fatto Quotidiano del 19.2.18)

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