Ilaria. Una milanese in missione a Roma, a educare all’antimafia tra Casamonica, Spada e Mafia Capitale

Il viso da educanda, quello c’è ancora. Inconfondibile. Lo stesso con cui mi si sedette davanti per l’esame tanto tempo fa, correva l’anno 2009. Sapeva praticamente tutto. Un’espressione buona e disarmante, i libri ordinati e gonfi di segni e di colori. Ci siamo persi di vista e riincontrati, grazie al comune interesse per la criminalità organizzata. Poi di nuovo allontanati, perché ha vinto un dottorato alla Sapienza a Roma. E la capitale, si sa, cattura, affascina. Specie i giovani studiosi di mafia e affini, viste le novità locali in materia, che sembrano un’epifania. Mafia capitale. I Casamonica. Ostia e gli Spada. I clan autoctoni, di terra e di mare, il riciclaggio in via Veneto, le mafie che crescono là dove lo Stato non è assente ma c’è il pieno assoluto di caserme e ministeri.

Ilaria Meli, ricercatrice che ama perlustrare i territori ma ama pure la teoria, ha trovato la sua Mecca. Tutto quello che c’è di nuovo da sapere le si apre davanti come un libro intonso e generoso. “Ho incominciato a studiarmi la zona sud est di Roma, quella dei Casamonica. Che non si vedono ma si sentono. Nel senso che non c’è un loro accampamento, come ci si immagina, ma sono distribuiti nelle case popolari. Forti, temuti, intessuti tra loro, e ti spuntano fuori in massa come nel famoso funerale con l’elicottero in cielo. Mi piace andare a parlar di mafia nelle scuole difficili, con i bambini che per mezze ore intere ricalcano l’omertà dei grandi. Sapete cos’è la mafia?, gli chiedo. Silenzio assoluto, nessuno apre bocca. Poi fai il nome dei nomi: Casamonica. E allora scopri in un attimo che tutti sanno e un ragazzino dopo l’altro ti tirano fuori l’episodio, il ricordo personale, il sentito dire in casa. A quel punto tutto appare naturale. E diventa un racconto collettivo, così capisci che la loro vita, anche se giovanissima, è già tatuata dall’incontro con il mito criminale”.

Quando per un altro dottorato le chiesero come avrebbe ottenuto quello che in terribile sociologhese viene chiamato l’ “accesso al campo” (che sarebbe la possibilità di studiare da vicino l’oggetto della propria ricerca ), non seppe rispondere a tono. Come è giusto. Perché queste possibilità si conquistano solo andandoci davvero, sul “campo”. Soprattutto se ci si muove con l’innocenza eversiva che solo gli scout come lei sanno avere. Scuole, visite in proprio, visite con spettacoli teatrali, lezioni, seminari, intrufolamenti sapienti in campo avverso, interviste beneducate. Per sapere, per capire, per “bere” tutti gli ambienti possibili, a Roma e fuori Roma. Ad Anzio, a Nettuno e a Ostia. “Le scuole in cui siamo andati? Si trovano principalmente a Roma sud-est: lungo la tuscolana a Quarto Miglio, Statuario e soprattutto Borghesiana, che  è territorio dei Casamonica, o in zona Furio Camillo, di fianco ad Acca Larenzia, presidio di estrema destra, che ha molta influenza sul territorio e anche sulla scuola; o a Tor Marancia, zona Eur, e San Basilio. Qui i ragazzi sono preparati, soprattutto alle medie fanno molte attività con Libera, e spesso conoscono anche fatti relativi ai territori, anche se non pronunciano quasi mai i nomi proibiti. Ma sono stata pure a Roma nord, zona Boccea, e in centro, dove sono molto meno consapevoli del fenomeno, a meno che non ci siano professoresse attente e impegnate. Certo, anche fuori Roma, recentemente a Frosinone e a Nettuno”.

I riccioli sodi le incorniciano la faccia di sempre, ma Ilaria è diventata in nove anni la giovane leader di un movimento educativo che non ha paura di finire in una classe in cui “puoi trovare i figli dei boss al 41 bis, e allora devi avere tatto ma non rinunciare ai giudizi di valore”. E che per formare davvero i ragazzi, invece di metterne cento tutti insieme, si fa tre turni di fila in un solo mattino. “D’altronde”, dice, “è impressionante come i ragazzi vogliano sapere, perché sono fatti che nessuno gli racconta, chiedono di organizzare tante cose ma non abbiamo abbastanza forze disponibili. Il 21 di marzo per la giornata della memoria vogliono venire tutti a piazza Vittorio. Il mio accento milanese? Sì, ogni tanto mi sento un po’ straniera, ma credo che alla fine sia un problema mio, non loro, mi documento sulle zone in cui vado e questa conoscenza viene apprezzata. In realtà penso che sto facendo una vita bellissima. Sono pagata per fare ricerca sulla materia che più mi interessa, e riesco pure a portare tutto nelle scuole.” Ogni tanto, bisogna dire, la cercano strani giornalisti. Ma lei fiuta ed evita. Mai sottovalutare gli scout.

(scritto su Il Fatto Quotidiano del 26.2.18)

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