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Elvio Fassone. Il saggio di Pinerolo che spiega la Costituzione e fa l’inchino
Prima di leggere l’articolo qua sotto, con le gesta del grandissimo Fassone, ricordate che domani è la giornata di chiusura del Seminario internazionale su “Mafia & Anti-Mafia in Europa” promosso da Cross (seconda edizione). Verranno anche ospiti da Malta e dalla Slovacchia a parlare della libertà di informazione, e altri a parlare della corruzione privata in Germania e in Spagna. Venite, voi pigroni che dite di volere conoscere il fenomento mafioso!! Sala Napoleonica in via S. Antonio 12, davanti alla sede della Statle in via Festa del Perdono. Si inizia alle 10.
“Sono seduti a centinaia. In attesa del saggio di Pinerolo. Il nome della cittadina piemontese evoca a milioni di italiani una indimenticabile gag di Fantozzi, che per compiacere il suo megadirettore amante della bicicletta, esorta un gruppone di impiegati ciclisti ad andare fino a Pinerolo, salvo ritrovarsi drammaticamente su una bici priva di sellino. Ma qui quel nome è serietà, quasi magia, significa Costituzione. La Casa della Memoria di Milano ospita un ciclo che parla della nostra Carta come di “risorsa viva”. E benché non ci sia più un referendum alle porte, la sala è stracolma, si aggiungono sedie, giovani accucciati per terra. Come sia fatto fisicamente il saggio non lo sa quasi nessuno, non è tipo invitato in tivù.
Quando arriva si ha quasi l’impressione di un elegante e compito folletto. Cammina in punta dei piedi. Non alto, occhialini, una camicia candida come i capelli, la cravatta granata, un pizzo bianco-grigio. Sull’argomento ha scritto un libro, “Una Costituzione amica” è il titolo; “un corpo contundente”, si schermisce lui alludendo alla ponderosità del volume. Poi il folletto gentile e sapiente prende il volo. Le sue parole restituiscono senso a una storia collettiva, basterebbe riprendere una per una le espressioni dei presenti. La Costituzione non è una legge, ammonisce. La legge è un comando, la Costituzione è una antologia di diritti. Ma lui non vuole farne qui l’inventario. “Non voglio fare la solita tiritera”, ha confidato prima di entrare. Vuole darle un senso storico e morale. Svolge a pennellate la storia del costituzionalismo, che è, spiega, “la lotta dell’uomo per mettere dei limiti al potere”, dalla Magna Charta al Bill of rights. Per questo quella del ’48 “non spunta come un fungo”. Di più, aggiunge, quella Costituzione è figlia di “un momento di grande ethos collettivo”. Ed è perché siamo in un momento di ethos basso, sembra dire, che subisce tanti attacchi. La voce del saggio è bassa, non c’è mai un acuto. Solo due volte, quando vuole sottolineare un paio di passaggi, gli viene educatamente di dire “e qui vi prego di fare attenzione”. Spiega la libertà “da” e la libertà “di”, spiega che l’esclusione delle sinistre dal governo è stata compensata dalla fioritura, nella Carta, dei diritti sociali, “è il repertorio più lungo, ce ne sono diciotto”. Si sofferma sul termine “dignità”, perché felicità per la nostra Costituzione è una vita “libera e dignitosa”.
Che cosa sia la dignità lo dice con le parole di Stefano Rodotà: “E’ una condizione di nobiltà morale nella quale l’uomo è posto per il fatto stesso di essere uomo”. Lo dice e quasi si emoziona, incantato egli stesso da quelle parole “scultoree”. Fa notare al pubblico, sempre più ammaliato, che abbiamo abolito i titoli nobiliari perché nobile è l’uomo. La Costituzione come sintesi di culture? Lo sappiamo bene, ma non come lo dice lui: “L’isonomia greca si fonde con la caritas cristiana”. Parla rotondo, il saggio. Anche nei segni tracciati nell’aria. E con il tono piano dice cose di dramma. Spiega che in questa “stagione malinconica in cui non si sa più a che cosa credere” la Costituzione dà orizzonti e materia per credere a tutti. Dice che molte sono le sirene che si sentono ma che noi ci dobbiamo aggrappare a lei, come Ulisse sentendo il canto magico e perfido di quelle creature si legò al palo della nave.
Alla fine l’applauso dura lunghi minuti. L’uomo di antica educazione sabauda un po’ arrossisce, poi si alza compuntamente in piedi e abbozza un inchino. L’applauso continua forte, e lui si rialza e riabbozza l’inchino. Appaiono lontane e minuscole le trame romane. E’ come se un popolo, in “questa stagione malinconica”, avesse deciso di autogovernarsi, di continuare a credere per i fatti suoi. Una sensazione di sollievo culturale ha preso anziani e studenti universitari. Ma risucchiati dal ricordo dell’atmosfera per nulla malinconica stavamo dimenticando il nome del saggio. E’ Elvio Fassone, magistrato per 35 anni, senatore per 10 anni. A lui, anche se nessuno lo sa, dobbiamo il nostro diritto di libertà di critica e di opinione, grazie a una sua storica sentenza in difesa di Corrado Stajano, portato a processo per il libro su “Africo”, era il 1979. E ha un qualche significato che a riportare un’aria di “nobiltà” collettiva sia stato questo signore di ottant’anni, che non fa proclami e sussurra alle persone. Che magari non fa audience e non “buca il video”, ma entra nelle coscienze di ogni età.”
(Scritto su Il Fatto Quotidiano del 9.4.18)
Nando
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