Università di Milano. In difesa, e quel che so, di Giuseppe De Luca (a proposito delle elezioni a rettore)

Lo confesso. Non mi piacciono le campagne diffamatorie. Non mi piacciono i tentativi di distruzione morale. Soprattutto se di mezzo ci sono delle persone per bene. Sarà perché certe cose le ho subite, senza che nessuno muovesse un dito, durante il mio impegno politico. O perché dopo decenni sono ancora costretto (e di nuovo senza che nessuno muova un dito) a difendere mio padre dalle calunnie politiche ospitate da Santoro. Sarà perché ho visto la freddezza e il cinismo -e l’ignoranza- con cui campagne e calunnie vengono confezionate: indimenticabile come Ciampi fu accusato di ogni ignominia in parlamento per “giustificare” l’affossamento del primo governo Prodi.
Per questo non ce la faccio a non reagire alle accuse che sento e leggo nei confronti di Giuseppe De Luca, giovane candidato rettore all’università di Milano e “colpevole” di essere stato, durante il rettorato di Gianluca Vago, prorettore alla didattica. E un dito io voglio muoverlo. Ho conosciuto De Luca in questi anni. E l’ho visto lavorare senza sosta e con intelligenza per risolvere i problemi della nostra università. Disponibile a ogni ora del giorno e delle sera. All’inizio mi sono stupito nel vederne la competenza e anche la rapidità nel risolvere questioni eterogenee, proprio il contrario di una certa sonnolenza burocratica che, come dico sempre, sarebbe capace di sfinire un rinoceronte.

A lui mi unisce il sogno di una università libera dalle zavorre mentali, capace di fare prendere il volo ai suoi talenti, specie a quelli più giovani. Il sogno di uffici al servizio di una università che cresce e che migliora continuamente, senza più piccoli apparati al servizio di se stessi. Di che lo si rimprovera? Del progetto Rho-Expo? Ma nessun candidato ha detto che ci si metterà di traverso e che lo fermerà. E se non lo dice in campagna elettorale di certo non lo farà dopo. Un errore ha fatto De Luca e a suo tempo gliel’ho detto: pensare di applicare il numero chiuso a Lettere e Filosofia. La sua obiezione, non folle, era che l’alto tasso degli abbandoni concorre ad abbassare la valutazione dell’ateneo (e quindi i finanziamenti). Ma leggo ora che anche il suo concorrente era d’accordo con quella scelta, e che non la appoggiò -testualmente- solo in chiave antirettorale.
Un errore, poi rientrato. E chi non ne fa? C’è forse chi conosce qualcuno che non abbia commesso un errore? E il molto di buono fatto in confronto, e le visioni di rinnovamento e sburocratizzazione e internazionalizzaione, tutto questo dove va a finire? Quel che sento e anche leggo su di lui mi offende come appartenente a una comunità scientifica in cui vedo entrare temi delle più spregiudicate campagne elettorali. E mi fa desiderare un sindacato che sia capace, questo sì, di muovere un dito quando i giovani precari contrattisti vengono lasciati d’improvviso senza stipendio per mesi. Questa grande macchina va portata, giorno per giorno, al livello delle migliori università europee. Cambiando, svecchiando, e ovviamente senza perdere i grandi valori di una università pubblica. Ecco, questo sentivo il dovere di dire.

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