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Leggete e sognate. Così era un giorno l’Emilia, prima che arrivassero gli uomini del pop corn….
Ma quale casetta in Canadà. Gli onori della leggenda toccano alla casa cantoniera di Casina, comune di 4500 abitanti sull’Appennino emiliano, provincia di Reggio. Chi andasse alla ricerca di comunità che resistono, di solidarietà che non si squagliano, dovrebbe venire qui a stupirsi. A contemplare il “Centro comunale casa cantoniera di Casina” e l’umanità d’intorno, amalgama di storie e biografie dalle radici contadine. L’edificio che ha resistito al tempo e all’incuria (“qui tutte le case cantoniere si sono disfatte un po’ alla volta”) si mostra al visitatore con la sua parete rosso ocra, l’insegna murale della vecchia proprietà Anas, la sua area trattoria, il suo spazio balera che diventa ogni martedì sera spazio libri, il suo trionfo di foto che narrano epoche passate.
Se ti fermi due minuti a far capannello sono ricordi che volano. La Luisa, il Giampaolo, il Pietro, che è poi il barbiere del paese, la Giovanna, che è invece la professoressa di lettere, cuciono memorie popolari e sprizzano orgoglio per quella Casa Cantoniera che sembra sgorgata, dicono loro, dal socialismo umanitario di Camillo Prampolini: primo novecento, cooperative e case del popolo tirate su da eserciti di mani callose. Gratuitamente, senza chiedere un soldo, perché così si usava. “E qui abbiamo fatto così”, racconta Giampaolo, esperto volontario di bilanci per cinque o sei associazioni. “Quando si è trattato di tirar fuori dalla casa cantoniera una grande luogo di ritrovo, di socialità e di divertimento venivano a grappoli a lavorare, a tirar su, a sistemare, a portar via tonnellate di detriti, a mettere i fili elettrici; e le mogli portavano le torte e da mangiare, tutti facevano qualcosa. Anche il sindaco Fornili. Ora la guardi”.
Lo dicono con fierezza smisurata. Centinaia di sedie verdi per chi vuole godersi i ballerini del liscio, arte sopraffina, o vuole ascoltare narratori e scienziati in altre sere (foto). Un palco che può ospitare spettacoli teatrali. Perfino due piste da ballo, stessa musica ovviamente, su cui ci si divide per abilità del volteggio e talora per età, e dove il mercoledì sera si danno convegno come verso un presepe da tutti i centri vicini. Show a ripetizione. Da “Leonardi e la sua orchestra” a “Scaglioni e la sua fisarmonica”, fino a “Sonia B” e “Ivana e Felice”. Rimbalzano nei racconti echi di gratitudine, e tutti citano “il grande Peppo”, Giuseppe Rossi, “l’anima dei nostri volontari” sta scritto in un depliant, che si spremette di lavoro e poi gli venne un infarto proprio qui, “morì in bagno e meno male non sul lavoro se no chissà i guai che avremmo passato. Gli dobbiamo tantissimo”.
L’avventura iniziò nel 2002, segno che queste cose erano possibili anche nell’era Berlusconi. Quando si pensò che da quell’edificio abbandonato potesse venir fuori un centro pubblico a disposizione delle associazioni del territorio l’idea conquistò come un fulmine il cuore dei casinesi. Fu un successo. Il centro è passato negli anni dai 500 ai 900 soci, diventando il secondo per numero di tutta la provincia di Reggio. Giampaolo si gode lo stupore dell’ospite. E verso mezzanotte gli offre un bicchiere di grappa preziosa. Riemerge la gag, chissà quante volte tornata tra lazzi innocenti, di quando giunse un gruppone di stranieri e chiedevano chi la grappa morbida chi la grappa secca, e loro gliela davano a tutti uguale, facendoli comunque felici con quella manna superalcolica.
Ma le immagini vere del tempo fattosi storia sono un regalo di Pietro, il barbiere. Le ha messe in un libretto. Si intitola “Da contadino a parrucchiere. La piccola grande storia di uno di noi”. Lo apri e dalle pagine subito si spande un profumo di dopoguerra povero e speranzoso. Di un piccolo mondo rurale con i suoi sfruttati, dove si potevano fare ore di cammino con i polli in mano per offrirli in deferenza al padrone, che sprezzante li respingeva perché “troppo magri”. Immagini di giovanotti che sfidano l’oscurità delle colline per andare a vedere “Lascia e raddoppia” nel paese accanto, e tornare poi a narrare le meraviglie uscite dallo schermo. Foto impagabili, come quella del Pietro premiato come il migliore “acconciatore” della provincia o sempre di lui che serve il caffè a Mino Reitano, “allora al top del suo successo”.
Foto che catturano lo spirito del tempo come oggi non riuscirebbe a migliaia di telefonini. Lo spirito di questa comunità appenninica che della sua Casa scrive, come fosse davanti ai secoli, “Là dove c’era silenzio, oggi abbiamo musica e risate. Là dove c’era solitudine, oggi c’è l’abbraccio”.
(scritto su Il Fatto Quotidiano del 9.7.18)
Nando
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